“Domiziano ricostruì moltissimi monumenti, assai considerevoli, distrutti dal fuoco, tra i quali il Campidoglio che si era incendiato di nuovo, ma su tutti fece scrivere soltanto il suo nome senza fare menzione dell'antico costruttore. D'altra parte edificò un nuovo tempio consacrato a Giove Guardiano, sul Campidoglio, il foro che oggi porta il nome di Nerva, il tempio della famiglia Flavia, uno stadio, un odeon e una naumachia.”
Svetonio, Domiziano, 5.
La pianta dello Stadio di Domiziano è rimasta visibile nel tessuto urbanistico della moderna città di Roma nell’attuale Piazza Navona, nell’area dell’antico Campo Marzio. I palazzi che la delimitano infatti sono stati costruiti sopra le antiche gradinate della cavea, i cui resti si possono vedere ancora nel settore del lato curvo dello stadio verso piazza di Tor Sanguigna (scoperti negli anni 1936-38 sotto il Palazzo dell’INA), sotto la chiesa di S. Agnese e sotto il palazzo al civico 62 della piazza.
L’imperatore Domiziano, della dinastia dei Flavi, decise di costruire un edificio dove potessero svolgersi le gare di atletica importate dalla Grecia e mal viste originariamente dai Romani, ma che entrarono a far parte del Certamen Capitolinum in onore di Giove, una competizione quinquennale che prevedeva anche lo svolgimento di gare equestri e musicali (alcuni autori antichi ricordano che eccezionalmente lo stadio venne usato nel III secolo d.C. anche per combattimenti tra gladiatori). L’imperatore amava questo genere di competizioni “alla greca”, mentre il popolo romano le considerava poco virili e immorali, visto che gli atleti partecipavano alle gare praticamente nudi, ma Domiziano provò in questo modo, in pratica, ad importare a Roma le Olimpiadi greche. I giochi erano chiamati agones, e questo termine rimase legato al luogo, tanto da trasformarsi nei secoli (in agone, nagone, navone) in Piazza Navona. I certamina graeca, come venivano chiamati anche le competizioni di atletica, furono introdotti a Roma nella prima metà del II secolo a.C., e riproposti in alcune occasioni tra la fine della Repubblica e l’inizio dell’Impero, fino all’affermazione avvenuta sotto Domiziano con la costruzione dell’edificio preposto al loro svolgimento.
La costruzione dello Stadio avvenne intorno all’85-86 d.C., qualche anno dopo il grande incendio che nell’80 d.C. distrusse gran parte degli edifici del Campo Marzio.
La lunghezza dello stadio era di circa 275 m., la larghezza di 106 m. e originariamente l’aspetto della struttura esterna doveva essere caratterizzato da una serie di doppie arcate con pilastri di travertino con semicolonne ioniche (per il primo ordine) e forse corinzie (per il secondo ordine).
Scavi della curva dello Stadio di Domiziano nel 1938 prima della costruzione del Palazzo dell’INA, e una delle arcate in travertino con le scale di ingresso alle gradinate.
L’edificio doveva essere decorato con numerose statue, una delle quali è ritenuta essere il celebre Pasquino, collocato dal Cinquecento all’angolo di Palazzo Braschi presso la piazza: si tratta di un gruppo scultoreo in marmo che ritrae probabilmente Menelao che sostiene il corpo di Patroclo.
La tradizione cristiana vuole che proprio in un lupanare (bordello) all’interno dei fornici dello stadio di Domiziano abbia subito il martirio S. Agnese, nel luogo dove si trova la chiesa a lei dedicata e sotto la quale possono vedersi notevoli resti della struttura antica.
Quattro ingressi, ciascuno per ogni lato, consentivano l’accesso sugli spalti divisi in due settori (maeniana) dove potevano trovare posto circa 30.000 spettatori. L’arena era libera da costruzioni, senza spina centrale o cancelli di partenza come testimoniano le rappresentazioni sulle monete. Lo stadio fu successivamente oggetto di lavori di restauro sotto l’impero di Alessandro Severo, insieme alle vicine terme di Nerone.
Unito allo Stadio, sul lato sud, Domiziano fece inoltre costruire l’Odeon: si tratta di un edificio (un teatro dalle dimensioni più piccole), destinato alle competizioni musicali e poetiche che si svolgevano durante il certamen capitolinum, la cui capienza è stimata intorno alle 10.000 unità. Anche in questo caso la forma dell’antico edificio è stata ricalcata dal Palazzo Massimo, la cui facciata su Corso Vittorio Emanuele segue la linea curva della cavea. Dell’Odeon rimane solo un’alta colonna di marmo cipollino, probabilmente appartenente all’antica scena, che si trova al centro di Piazza dei Massimi, davanti alla facciata posteriore del palazzo. Dalle fonti sappiamo che questo edificio venne restaurato sotto Traiano dal suo architetto Apollodoro di Damasco.
La celebre statua di Pasquino, già nello Stadio di Domiziano, e la colonna di cipollino proveniente dall’Odeon di Domiziano nella Piazza dei Massimi.
Dopo l’abbandono dell’edificio iniziò la spoliazione dei materiali e delle decorazioni scultoree, finché nel medioevo i ruderi dello stadio furono divisi tra famiglie private, chiese ed istituzioni religiose, lasciando libera l’area dell’antica arena che fu utilizzata come piazza. Nel 1477 divenne sede dell’antico mercato di Roma, spostato qui dai piedi del Campidoglio da papa Sisto IV (questo stesso mercato fu spostato poi nell’Ottocento a Campo de’ Fiori), e nel Rinascimento la piazza fu abbellita da nuovi palazzi nobiliari e con le tre fontane che si vedono ancora oggi sull’asse centrale: nel 1651 Gian Lorenzo Bernini, su commissione di papa Innocenzo X, mise sulla sua Fontana dei Quattro Fiumi, al centro della piazza, l’antico obelisco fatto fare dallo stesso Domiziano nel I secolo d.C. (il nome dell’imperatore compare nei geroglifici che lo decorano) e ritrovato nel 1647 nel Circo di Massenzio. Domiziano aveva fatto cavare in Egitto questo obelisco per alzarlo nell’Iseo del Campo Marzio (nella zona oggi occupata dalla chiesa di Santa Maria sopra Minerva), ma all’inizio del IV secolo d.C. Massenzio lo prese e lo portò sulla spina del suo Circo sulla via Appia, dove poi verrà trovato. Così ancora oggi è possibile osservare, in un unico luogo, le memorie dell’imperatore Domiziano: una eternata nell’urbanistica di Roma, l’altra dalla somma arte degli uomini rinascimentali.
Gabriele Romano