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Lunedì, 2 Dicembre 2024

 

A.D. IV NON. DEC.
ante diem quartum Nonas Decembres

 

A.U.C. MMDCCLXXVII
(anno 2777 Ab Urbe Condita)

Scribonia

Scribonia fu una matrona romana di nobili origini, figlia di Lucio Scribonio Libone e di Cornelia, nipote di Pompeo Magno e di Silla.
Stando agli autori antichi si ritiene che sia nata intorno al 70 o 68 a.C. (anche se mancano conferme) ed almeno nel 16 d.C., in base a quanto dice Seneca (Epist. 70, 10), era ancora viva.
Ebbe due mariti: il primo fu Gneo Cornelio Lentulo Marcellino che ricoprì il consolato nel 56 a.C. e dal quale ebbe almeno un figlio maschio, noto da un’iscrizione.
Sposò poi Publio Cornelio Scipione Salvitone, che apparteneva ai sostenitori di Pompeo e da lui ebbe altri due figli: l’amata Cornelia, morta giovane, e Publio Cornelio Scipione, che riuscì a ricoprire la carica di console nel 16 a.C..
Suo malgrado si ritrovò coinvolta nelle macchinazioni politiche degli uomini del suo tempo in un momento storico particolarmente significativo: Sesto Pompeo, suo zio, aveva grande potere ed influenza ed un giovane ambizioso si stava affacciando prepotentemente sulla scena politica romana, il figlio adottivo di Cesare, Ottaviano.
Quest’ultimo ritenne che un ottimo modo per allearsi con Sesto Pompeo fosse quello di sposarne la nipote Scribonia, sebbene molto più grande di lui, e le nozze vennero celebrate nel 40 a.C., dopo che entrambi avevano divorziato dai rispettivi coniugi.
Non sappiamo se Scribonia fosse favorevole o meno a tale matrimonio ma nel mondo romano il parere della donna non aveva importanza. Gli autori antichi non ne parlano, non sappiamo come fosse fisicamente e non danno neanche particolari notizie sul suo carattere: quel poco che si conosce lo si apprende dalle parole scritte dal futuro Augusto che ricorda quanto la moglie fosse di carattere difficile e di modi dissoluti e quindi non adatta ad essere sua moglie.
Del matrimonio con Augusto e del motivo del divorzio ne dà notizia Svetonio (De Vita Caesarum, Aug., 62 – 63):

“Mox Scriboniam  in matrimonium accepit nuptam ante duobus consularibus, ex altero etiam matrem. Cum hac quoque divortium fecit,”pertaesus”, ut scribit, “morum perversitatem eius”, ac statim Liviam Drusillam matrimonio abduxit (……).
Ex Scribonia Iuliam, ex Livia nihil liberorum tulit, cum maxime cuperet.”

In seguito (Augusto) si unì in matrimonio con Scribonia, che era stata già moglie di due ex consoli,  da uno dei quali aveva avuto figli. Divorziò anche da lei disgustato, come scrive egli stesso, dalla sregolatezza dei suoi costumi, e subito sposò Livia Drusilla….
Da Scribonia ebbe Giulia, da Livia nessun figlio, sebbene lo desiderasse moltissimo.
Non ci sono fonti che contraddicano le parole di Augusto pertanto non si può dire se fosse tutto vero ma, senza dubbio, Scribonia era più anziana di lui. Questo fatto per il mondo romano è abbastanza insolito perché, di regola, era il marito ad essere più grande, a volte anche di molti anni, della moglie e non viceversa. Non si sa di preciso quanti anni avesse in più, anche se alcuni studiosi ritengono ne avesse almeno 20, ma non fu un elemento che impedì al giovane e ambizioso Ottaviano di usare il matrimonio come mezzo per creare importanti alleanze politiche. 
La loro unione durò ben poco, a mala pena un anno, e sembra che Ottaviano, almeno inizialmente, fosse affascinato dalle doti della moglie che era a tutti gli effetti una donna fatta ed esperta e che abbia appreso da lei l’arte di amare. A distanza però di poco tempo iniziò ad avere numerose relazioni extra coniugali finché  non conobbe e non perse la testa per Livia. Non chiuse prima le nozze solo perché Scribonia era incinta della loro unica figlia ma il giorno stesso della nascita di Giulia, il 14 Gennaio 39 a.C., ripudiò la moglie, adducendo come pretesto il suo carattere dissoluto. Molti però, conoscendola, non credevano alle accuse lanciatele dal marito quanto piuttosto al fatto che lui l’avesse lasciata perché si era troppo e pubblicamente lamentata delle continue scappatelle di Ottaviano. Sembra che Scribonia non si lamentasse in se per sé dei tradimenti del marito, che nella società romana erano all’ordine del giorno per qualsiasi donna sposata, ma del fatto che una di queste avventure stesse diventando una storia seria che minacciava il suo ruolo, e in effetti così fu, considerando che appena dopo averla ripudiata Ottaviano convolò a nozze con Livia, incurante che questa fosse incinta del precedente marito.
Dopo essere stata lasciata da Ottaviano Scribonia di dedicò ai figli e alla piccola Giulia per la quale, nonostante il carattere ribelle e i numerosi scandali, provò sempre un grande amore tale al punto che, nel 2 a.C., quando Giulia venne condannata all’esilio da Augusto per aver cospirato contro la sua persona, si offrì volontaria per accompagnarla sulla deserta isola di Pandataria, come ricorda Velleio Patercolo (2, 110, 5):

“…Iulia relegata in insulam patriaeque et parentum subducta oculis, quam tamen comitata mater Scribonia voluntaria exilii permansit comes.”

..Giulia venne confinata in un’isola e tolta alla vista della patria e dei parenti, ma tuttavia la madre Scribonia rimase con lei come compagna volontaria di esilio.

Rimase accanto alla figlia negli anni del confino a Pandataria ma non si sa se l’abbia poi seguita anche a Reggio Calabria, quando le fu concesso di tornare sulla terraferma, e se le fosse vicina quando morì nel 14 d.C.
Non si sa neanche in quale anno sia morta ma, secondo Seneca, sopravvisse alla figlia almeno per due anni.

Disegno ricostruttivo di moneta con ritratto di Scribonia

Nonostante sia stata l’unica donna a dare un figlio ad Augusto di lei si sa troppo poco ed è difficile stabilire se sia dovuto solo ad una carenza di fonti perdute nei secoli o se lo stesso Augusto, con il suo giudizio negativo, abbia in qualche modo fatto desistere gli autori a parlare di lei. 

Manuela Ferrari

 

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Utendum est aetate: cito pede labitur aetas nec bona
tam sequitur, quam bona prima fuit
.
(La vostra età vivetela, che con rapido piede se ne fugge,
e quella che la segue non è bella altrettanto.)
Ovidio, Ars Amatoria, III, 65-67