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Lunedì, 7 Ottobre 2024

 

NON. OCT.
Nonis Octobribus

Augustalia
Iovis Fulgor
Iuno Quiris

 

A.U.C. MMDCCLXXVII
(anno 2777 Ab Urbe Condita)

Ottavia Minore

Molte donne si sono distinte per motivi diversi nel corso dell’epoca romana ma solo poche appartenevano alla famiglia imperiale e furono considerate un modello da imitare per le loro innate qualità morali. Tra tutte spicca Ottavia Minore, sorella di quel Gaio Ottavio che divenne prima Ottaviano e poi Augusto e che cambiò radicalmente il mondo romano fino ad allora conosciuto.
Era una donna molto bella come si evince dai numerosi suoi ritratti e somigliava a Gaio Ottavio, minore di lei di sei anni. Era molto amata per le sue qualità sia dalla sua famiglia che dal popolo romano, che vide sempre in lei un modello da seguire e imitare e spesso venne paragonata a Cornelia, madre dei Gracchi.

Ottavia nacque a Nola nel 69 a.C. da Gaio Ottavio e dalla seconda moglie Azia, nipote di Cesare. Come tutte le donne romane di un certo rango venne fatta sposare poco più che bambina nel 54 a.C., a soli 15 anni, a Gaio Claudio Marcello, che aveva almeno venti anni più di lei. 

Ottavia si dimostrò da subito una donna legata alle tradizioni romane e fedele al suo ruolo di moglie e madre, soprattutto quando il marito si schierò apertamente contro Cesare e a sostegno di Pompeo e lei non prese posizione. 

Quando Pompeo rimase vedovo Cesare gli propose di prendere in moglie la figlia di sua nipote Azia, nonostante Ottavia fosse già sposata, ma il generale rifiutò la proposta e la giovane rimase sposata a Claudio Marcello.
Il 40 a.C. fu per lei un anno difficile: rimase vedova e si ritrovò da sola con i due figli Marcella Maggiore e Marco Claudio Marcello, ed incinta di Marcella Minore.
Nel medesimo anno, grazie agli accordi di Brindisi, Ottaviano riuscì a riappacificarsi con Antonio e per suggellare la ritrovata armonia si ricorse al suggello più diffuso ossia il matrimonio tra il ritrovato collega e la sorella, rimasta da poco vedova del primo marito. Anche Antonio era diventato vedovo, grazie alla provvidenziale morte di Fulvia, considerata la causa scatenante della guerra di Perugia, ed era libero da vincoli matrimoniali. Tutti erano a conoscenza della sua relazione con la regina d’Egitto Cleopatra ma nessuno la ritenne una situazione importante perché in ballo c’era la pace per Roma e per il nascente impero romano. Essendo un matrimonio fondamentale per le sorti politiche di Roma fu concessa ad Ottavia una dispensa speciale che le consentì di sposare Antonio anche se era incinta del primo marito e non era ancora trascorso il tempus lugendi, ossia un periodo di 10 mesi di lutto vedovile che le donne romane erano obbligate ad osservare prima di poter contrarre un nuovo matrimonio. Tale periodo era necessario ad evitare qualsiasi dubbio nell’attribuzione di eventuali paternità (turbatio sanguinis et incertitudo seminis).

È Plutarco a raccontare come si svolsero tali fatti (Vita di Antonio, XXXI):

“… (Ottavia) era, come tutti dicevano, una donna meravigliosa. Aveva perso da poco il marito Caio Marcello ed era vedova. Anche Antonio, dopo la morte di Fulvia, lo era, almeno in apparenza: infatti, pur non negando di essere l’amante di Cleopatra, non voleva però ammettere di essersi sposato con lei. Su questo punto egli ragionava ancora bene e dentro di sé combatteva il suo amore per l’egiziana. Tutti perciò si prodigavano per combinare questo matrimonio sperando che Ottavia, che univa alla sua grande bellezza, serietà ed intelligenza, una volta sposata ad Antonio e da lui amata come lo meritava una donna sua pari, avrebbe appianato le contese tra i due rivali ed avrebbe portato ad una fusione dei due partiti. Anche i due contendenti lo pensavano. Perciò, appena essi furono arrivati a Roma, si celebrarono le nozze di Ottavia con Antonio, nonostante che la legge non ammettesse un secondo matrimonio prima che fossero passati dieci mesi dalla morte del primo marito. Ma una decisione del Senato permise loro di non attendere tutto quel tempo.”

Le nozze si svolsero a Roma e Marco Antonio fece coniare in onore dell’occasione delle monete dove fosse riportata l’effigie di Ottavia insieme alla sua: era la prima volta che a Roma si realizzava un ritratto monetale femminile.
Dopo le nuove nozze la coppia si trasferì in Grecia dove furono considerati ed omaggiati come divinità e vennero anche ritratti insieme in alcune emissioni monetali. In Grecia nacque Antonia Maggiore, la loro prima figlia.
Ottavia assunse il ruolo della perfetta matrona romana, fedele al marito e al fratello, nuovi signori della nascente potenza imperiale e viene esaltata dalle fonti antiche, in particolare Plutarco, per le sue doti sia fisiche che morali e ne viene messo in risalto il ruolo di mediatrice tra i due uomini della sua vita (Vita di Antonio, 35) dandole il merito di aver più di una volta evitato lo scontro tra i due, almeno finché non divenne inevitabile. Sia Plutarco che Dione Cassio (XLVIII, 54,3) ricordano la mediazione della giovane in occasione del rientro di Antonio in Italia, nel 37 a.C., a Brindisi a seguito delle disastrose battaglie condotte da Ottaviano.
Ottavia riuscì a convincere Antonio non solo a portarla con sé nonostante fosse incinta della loro seconda figlia, ma anche a mandare lei come intermediario per parlare con suo fratello. Antonio la lasciò andare e Ottavia, giunta nell’accampamento del fratello, trovò subito dei validi alleati in Agrippa e Mecenate che, come lei, altro non volevano che la pace tra i due comandanti.
Le fonti raccontano che Ottavia forse per la prima volta nella sua vita tenne testa al fratello e ottenne uno scambio di truppe che doveva sancire il loro accordo. Quando Antonio partì di nuovo per l’Asia per combattere contro i Parthi, in un primo momento portò con sé sia Ottavia che i loro figli ma poi, giunto a Corcira, decise di rimandarla a Roma con prole al seguito, affidandola ad Ottaviano con il pretesto di non volerla esporre ai pericoli della guerra visto che era incinta della loro seconda figlia. Quel saluto a Corcira fu la fine del matrimonio tra Ottavia e Marco Antonio, che non si rividero più perché lui di lì a poco si perderà definitivamente tra le braccia di Cleopatra. Antonio infatti era stato amante della regina d’Egitto ancor prima di sposare Ottavia e nonostante lei fosse la “donna perfetta” da sposare il giovane non dimenticò mai Cleopatra.
Nonostante l’abbandono e l’adulterio da parte del marito e l’umiliazione di tale avvenimento corredata dalla nascita dei figli di Antonio e Cleopatra, lei non smise mai di essere fedele al suo ruolo di moglie. Non lasciò la casa coniugale: anche se a Roma erano arrivate le voci del matrimonio tra suo marito e Cleopatra i migliori avvocati romani avevano rassicurato Ottavia dicendole che quell’unione, se anche ci fosse stata, non era valida sia perché loro erano ancora sposati sia perchè era stato celebrato lontano da Roma e che lei doveva continuare a considerarsi come unica moglie legittima, e come tale accolse nella sua casa tutti gli amici che Antonio inviava a Roma. Il suo comportamento onorevole nei confronti del marito non fece altro che aumentare l’ammirazione nei suoi confronti e l’odio verso Antonio, che veniva considerato non solo traditore della sua famiglia ma anche di Roma stessa, avendo scelto di vivere con Cleopatra in Egitto come suo consorte.
Ottavia visse nella casa coniugale insieme alle due figlie avute da Antonio, Antonia Maior e Antonia Minor, e crebbe anche i figli del marito e di Fulvia, sua prima moglie.
Le fonti tendono a sottolineare questo aspetto di Ottavia soprattutto per creare un netto contrasto con la regina d’Egitto, considerata una donna pericolosa e causa della perdita di senno di Marco Antonio.
Nel 35 a.C., nonostante Antonio vivesse ormai alla luce del sole la sua relazione con Cleopatra, Ottavia, come ogni donna innamorata, non voleva accettare l’idea di aver perso per sempre suo marito e per questo cercò di convincere in tutti i modi il fratello Ottaviano a farla imbarcare per l’Oriente per raggiungere il consorte portandogli soldi e truppe di sostegno per la campagna che stava preparando, sperando così di farlo tornare da lei. Ottaviano, stando sempre a Plutarco, le permise di partire ma giunta ad Atene venne accolta da alcuni messaggeri inviati da Antonio con una sua lettera nella quale la invitava a tornare a Roma ponendo come scusa i pericoli dell’imminente campagna militare (Vita di Antonio, LIII):

“Cesare glielo permise e, secondo la maggior parte degli storici, non per farle piacere ma perché sperava, se mai Antonio avesse oltraggiato e disprezzato la sorella, di avere un magnifico pretesto per muovergli guerra. Arrivata ad Atene, Ottavia ricevette una lettera di Antonio che l’invitava a fermarsi là parlandole dei suoi progetti per la spedizione. Ottavia ne fu addolorata perché capì la vera ragione della sua richiesta.”

Ottavia tornò quindi a Roma dopo aver lasciato le truppe ed il denaro e senza aver rivisto il marito, e continuò a vivere nella casa coniugale, supplicando in tutti i modi il fratello affinché i problemi del suo matrimonio non diventassero un pretesto per dichiarare una guerra civile. Ottaviano temporeggiò contro Antonio ma non tanto per le insistenti preghiere della sorella quanto piuttosto per evitare di venir accusato di aver mosso guerra ad un romano per motivi personali, convinto che prima o poi Antonio avrebbe compiuto il definitivo passo falso e si sarebbe attirato contro tutto il popolo di Roma.
Soltanto nel 32 a.C. Ottavia lasciò il tetto coniugale, dopo aver ricevuto da Antonio la lettera di ripudio che, secondo alcuni studiosi, può essere considerata come un’aperta dichiarazione di guerra verso Ottaviano, lettera nella quale Antonio chiese ai suoi amici a Roma di mandare via Ottavia dalla casa sulle Carinae. Anche in questo caso è sempre Plutarco a raccontare come Ottavia si mostrò forte anche in questa situazione (Vita di Antonio, LX):

“Essa uscì dalla casa avendo con sé tutti i figli di Antonio eccetto il maggiore dei figli di Fulvia che il padre si era portato con sé. La povera donna piangeva disperata per la preoccupazione di poter essere ritenuta causa di quella guerra. I Romani, a quel punto, più che per aver pietà di lei, compativano Antonio e tanto più lo commiseravano coloro che, avendo visto Cleopatra, avevano constatato come questa non potesse reggere il confronto con Ottavia né per bellezza né per giovinezza.”

Ottavia fu quindi costretta a tornare nella casa dove aveva vissuto finché non si era sposata e lì rimase a vivere e apprese tutte le notizie che riguardavano la guerra civile tra il fratello e il marito. Alla morte di Antonio e Cleopatra, Ottavia mostrò ancora le sue grandi doti morali, decidendo di far portare nella sua casa tutti i figli di Antonio, compresi anche quelli avuti dalla regina d’Egitto, e li educò e si prese cura di tutti loro senza mai fare distinzioni tra i suoi e quelli del marito.
Ma anche per questa donna così amata e ammirata arrivò il momento di cedere agli eventi negativi della vita: nel 23 a.C. infatti a Baia morì l’amato figlio Claudio Marcello, avuto dal primo marito C. Claudio Marcello, erede designato da Augusto, evento dal quale non si riprese mai.

Porticus Octaviae

 

Stando agli autori antichi la ferita era talmente profonda che quando Virgilio lesse davanti ad Augusto e ad Ottavia il VI libro dell’Eneide ed in particolare i versi dedicati a Marcello lei svenne per il dolore. I presenti si prodigarono per rianimarla e, una volta ripresasi, si dice che regalò al poeta 10000 sesterzi per ogni verso che aveva dedicato a suo figlio.
Ottavia morì a Roma nell’11 a.C. e Augusto e Druso Minore tennero una toccante orazione funebre pubblica per una donna che era stata da esempio per molti. Per volere di Augusto il suo feretro venne poi trasportato fino al suo Mausoleo, dove venne sepolta con tutti gli onori che meritava.
A lei Augusto dedicò la porticus Philippi che aveva fatto restaurare ed ingrandire, nei pressi del teatro dedicato a Marcello, dove spesso si tennero le riunioni del Senato, che da quel momento prese il nome di Porticus Octaviae.

Manuela Ferrari

 

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Fama, malum qua non aliud velocius ullum. 
(La fama, male di cui nessuno altro è più veloce.)
Virgilio, Eneide IV, 174