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Lunedì, 7 Ottobre 2024

 

NON. OCT.
Nonis Octobribus

Augustalia
Iovis Fulgor
Iuno Quiris

 

A.U.C. MMDCCLXXVII
(anno 2777 Ab Urbe Condita)

Il sepolcro di M. Virgilio Eurisace

[Est hoc monume]NTUM MARCEI VERGILEI EURYSACIS PISTORIS REDEMPTORIS APPARET

EST HOC MONUMENTUM MARGEI VERGILEI EURYSACIS/

PISTORIS REDEMPTORIS APPARET

EST HOC MOMUMENTUM MARCI VERGILII EURYSAC[is]

(CIL VI, 01958a )

 

(Questo è il) monumento di Marco Virgilio Eurysace panettiere appaltatore di forniture apparitore

Questo è il monumento di Marco Virgilio Eurysace/

Panettiere appaltatore di forniture apparitore

Questo è il monumeto di Marco Virgilio Eusrysace

Le epigrafi sopra riportate corrono sui lati di uno dei monumenti sepolcrali tra i più famosi dell’area urbana giunti fino ai nostri giorni, posto tra la “Porta Maggiore” e il punto di incontro e inizio delle antiche vie Labicana e Praenestina. 
Il sepolcro, che si conserva per un’altezza di m 7, fu edificato in un’area esterna alle mura urbiche in quanto vigeva il veto di seppellire all’interno della città, probabilmente in una zona già adibita a sepolture e densamente costruita. La presenza di strutture preesistenti ne spiega la forma trapezoidale irregolare, dovuta al poco spazio a disposizione; la facciata Est, andata perduta, era quella principale, sulla quale doveva trovarsi il rilievo raffigurante i due defunti. Tale rilievo venne riutilizzato nella costruzione onoriana delle torri per poi, al momento del loro smantellamento, essere portato presso i Musei Capitolini dove ancora oggi è esposto.
Il nucleo è composto da blocchi di tufo dell’Aniene con rinforzi in blocchi di travertino nella parte inferiore, e da opera cementizia in quella superiore, rivestita in lastre di travertino decorate. Tale decorazione è suddivisa in fasce orizzontali: in quella più bassa sono disposti una serie di cilindri verticali; al di sopra corre la fascia con l’iscrizione ripetuta su tutti e tre i lati superstiti in maniera quasi identica; sopra questa è un campo liscio dove sono disposti elementi cilindrici cavi con l’apertura verso l’esterno e inquadrati da lesene e capitelli; nel registro superiore è presente il fregio figurato che corre su tutti i lati ed infine, a colmo di tutto, una cornice a mensola aggettante. 
Manca del tutto la parte soprastante di coronamento ma, in base alla moda del periodo, potrebbe essere stata a forma conica o piramidale. 
Nel podio è stata individuata una cavità che probabilmente doveva servire per la deposizione delle due urne cinerarie.
Dalle iscrizioni conservate si ricava il nome del proprietario della tomba, Marco Virgilio Eurysace, e quale sia stato il suo lavoro. Dalla presenza dei tria nomina con un cognome di origine greca si deduce che si trattava di uno schiavo che era riuscito a raggiungere la condizione di liberto e che, grazie alla sua abilità, era stato in grado di dare vita ad una redditizia attività che gli permise di divenire fornitore di pane per lo Stato e di comparire durante le cerimonie pubbliche in qualità di apparitore, ossia di ufficiale subalterno di magistrati o sacerdoti.
A confermare l’attività svolta da Eurysace è anche la tipologia di urna funeraria nella quale erano ospitate le ceneri della moglie Atistia, attualmente conservata al Museo delle Terme: si tratta di un panarium, ossia della forma tipica di una madia per il pane, e con tale nome è ricordata anche nell’epigrafe funeraria della donna: 

FUIT A(N)TISTIA UXOR MIHEI/ FEMINA OPITUMA VEIXSIT/ QUIOIUS CORPORIS RELIQUIAE/ QUOD SUPERANT SUNT IN/ HOC PANARIO
(CIL I, 01206)

Atistia fu mia moglie/ visse come donna ottima/ le cui rimanenti spoglie/ riposano in questo panario.

Epigrafe sepolcrale di Atistia, moglie di Eurysace

Ma quello che senza dubbio caratterizza la sepoltura è la scelta, come motivo decorativo, dei cilindri utilizzati per l’impasto della farina e la rappresentazione, nel fregio, di tutte le varie fasi lavorative che portano alla produzione del pane stesso. In particolare, partendo dal lato Ovest, c’è la scena della pesa del grano su una bilancia di grano dimensioni; si passa poi, lungo il lato Sud, alle fasi della molatura e della setacciatura; manca la porzione di fregio che si trovava sulla facciata Est ma sicuramente vi erano raffigurate le lavorazioni che erano necessarie per arrivare alle fasi finali della produzione, presenti sul lato Nord, ossia la preparazione dell’impasto, la divisione in pani e la cottura. Tutte le operazioni sono svolte da schiavi ed è sempre presente un personaggio togato che assiste alle varie fasi di lavorazione, probabilmente lo stesso Eurysace.

 Particolare del fregio decorativo

Il rilievo è caratterizzato da una grande espressività e presente tracce di stucco colorato che lo rendeva ben visibile.
Stando alla tipologia del materiale utilizzato, al tipo di epigrafe e all’ascesa sociale che permise a questo personaggio di passare da schiavo e fornitore dello Stato si ritiene che la sua attività debba essere collocata nel periodo di passaggio tra la Repubblica e l’Impero, sul finire delle Guerre Civili, periodo in cui molti schiavi riuscirono letteralmente a ribaltare la loro posizione sociale. La tomba andrebbe quindi datata attorno agli anni Trenta del I secolo a.C.
Quando Aureliano decise di costruire una nuova cerchia difensiva, tra il 270 ed il 275, ben più ampia della precedente, inglobò vari monumenti e ne risparmiò altri, come questo che non venne demolito in quanto, essendo un sepolcro, era sacro. Durante il regno di Onorio (393 – 423) fu necessario intervenire sulle mura e vennero create una serie di strutture difensive a rafforzamento del circuito murario; nel caso della Porta Maggiore furono create tre torri e quella centrale inglobò completamente il sepolcro.
Fu soltanto nel 1838, quando papa Gregorio XVI decise di far abbattere le torri difensive che erano state fatte erigere da Onorio a protezione della porta per ripristinare l’aspetto originale dell’epoca di Aureliano che il sepolcro emerse nuovamente in tutta la sua particolarità.


Stele funeraria del fornaio Eurisace e di sua moglie Atistia. Musei Capitolini, Roma.

 

 

Manuela Ferrari

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Fama, malum qua non aliud velocius ullum. 
(La fama, male di cui nessuno altro è più veloce.)
Virgilio, Eneide IV, 174