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Lunedì, 7 Ottobre 2024

 

NON. OCT.
Nonis Octobribus

Augustalia
Iovis Fulgor
Iuno Quiris

 

A.U.C. MMDCCLXXVII
(anno 2777 Ab Urbe Condita)

Il Sacello di Venere Cloacina nel Foro Romano

Data venia seducit filiam ac nutricem prope Cloacinae ad tabernas, quibus nunc Novis est nomen, atque ibi ab lanio cultro arrepto, 'hoc te uno quo possum' ait, 'modo, filia, in libertatem vindico.' Pectus deinde puellae transfigit, respectansque ad tribunal 'te' inquit, 'Appi, tuumque caput sanguine hoc consecro.' Clamore ad tam atrox facinus orto excitus Appius comprehendi Verginium iubet. Ille ferro quacumque ibat viam facere, donec multitudine etiam prosequentium tuente ad portam perrexit. Icilius Numitoriusque exsangue corpus sublatum ostentant populo; scelus Appi, puellae infelicem formam, necessitatem patris deplorant.

[(A Virginio) fu data licenza di farlo, e condusse in disparte la figlia e la nutrice al tempio di Cloacina, presso le botteghe ora chiamate “Nuove”, e qui prese un coltello dal macellaio e disse: “Nel solo modo che posso, figlia mia, ti restituisco la libertà”. E le trafisse il petto, guardando verso il tribunale e aggiungendo: “Con questo sangue, Appio, maledico te e il tuo sangue”. Appio, richiamato dal clamore sorto al terribile fatto, ordina di arrestare Virginio, il quale si apriva dovunque la strada col ferro finché, protetto dalla folla dei suoi sostenitori, arrivò alla porta. Icilio e Numitorio sollevano il corpo esanime di Virginia e lo mostrano al popolo, deplorando il delitto di Appio, l’infelice bellezza della ragazza, la necessità in cui si era trovato il padre.]


(Livio, III, 48, 5)

Denario di L. Mussidius Longus (42 a.C.).

Il famoso passo di Livio che ricorda l’episodio di Virginio che uccide la figlia per sottrarla alle insidie del decemviro Appio, e che scatenerà in seguito la rivolta dei Romani contro l’istituzione dei decemviri alla metà del V secolo a.C., è utile per conoscere con precisione il luogo di culto di Cloacina: infatti doveva trovarsi nei pressi delle tabernae novae, che a loro volta si trovavano davanti alla Basilica Emilia verso la piazza del Foro Romano. In questo luogo la tradizione pone anche un altro episodio, questa volta legato alle origini di Roma stessa, e cioè la pacificazione tra Romani e Sabini dopo la battaglia scoppiata in seguito al famoso “ratto delle Sabine”. Così lo ricorda Plinio (Naturalis Historia, XV, 119):

Quippe ita traditur, myrtea verbena Romanos Sabinosque, cum propter raptas virgines dimicare voluissent, depositis armis purgatos in eo loco qui nunc signa Veneris Cluacinae habet; cluere enim antiqui purgare dicebant.

[Infatti così si tramanda che i Romani e i Sabini avendo voluto combattere per le fanciulle rapite, deposte le armi si purificarono col ramoscello di mirto in questo luogo che ora conserva le statue di Venere Cloacina; infatti gli antichi dicevano cluere per purificare.]

Da questo passo possiamo dedurre altre caratteristiche del luogo di culto di Cloacina. Innanzitutto l’accostamento e l’identificazione con Venere, poi la presenza di più statue di culto (signa) all’interno del sacello. A confermare queste indicazioni di Plinio abbiamo la testimonianza di una serie di monete fatte coniare nel 42 a.C. da Lucius Mussidius Longus, nel quale compare, sul rovescio, la rappresentazione del sacello di Venere Cloacina: su un podio circolare sul quale si trova una balaustra a ringhiera si vedono due statue, Cloacina e Venere, a cielo aperto, senza nessuna copertura. Sul lato sinistro, all’esterno, si vede una struttura a linee orizzontali che può identificarsi con la scala d’accesso al piano rialzato del sacello, ed un elemento a pilastro decorato, con delle linee verticali alla sommità, sulla linea delle due figure, che secondo alcuni può invece rappresentare l’altare e il fuoco per i sacrifici.  Le due statue di culto si differenziano invece per la postura e gli attributi che reggono: la statua sulla sinistra si appoggia ad un pilastrino con una mano, mentre con l’altra, sollevata, sembra tenere un oggetto da alcuni ritenuto un ramo di mirto (seguendo la tradizione legata alla pace tra Romani e Sabini); la statua sulla destra invece si poggia anch’essa ad un pilastrino con una mano mentre con l’altra sembra reggere un oggetto (secondo alcuni studiosi sulle monete meglio conservate sembrerebbe essere uno scudo). A rendere sicura l’identificazione dell’edificio sacro è l’iscrizione CLOACIN(A) che si legge impressa sul podio del sacello.
L’altro elemento deducibile dal passo di Plinio è la connessione di questo luogo con la purificazione, legata all’uso della pianta di mirto. Forse non è un caso che anche l’uccisione di Virginia, avvenuta per mano del padre, fosse ambientata presso questo sacello, visto il carattere purificatorio che sottintende. 

Disegno ricostruttivo del sacello di Cloacina

Sembra che l’origine del culto fosse da attribuire proprio a Tito Tazio, re dei Sabini, che qui conclude la pace con Romolo, re dei Romani, nel luogo da molti studiosi identificato come il confine originario tra i due popoli, nel Foro Romano, presso il corso d’acqua che lo attraversava e che poi diventerà parte della Cloaca Massima. È Sant’Agostino nel suo De civitate Dei (VI, 10, 1) che riprendendo delle parole del filosofo Seneca, e polemizzando circa gli dei pagani, ricorda l’istituzione del culto da parte di Tito Tazio:

Et ad hoc respondens: Quid ergo tandem, inquit, veriora tibi videntur Titi Tatii aut Romuli aut Tulli Hostilii somnia? Cluacinam Tatius dedicavit deam, Picum Tiberinumque Romulus, Hostilius Pavorem atque Pallorem taeterrimos hominum affectus, quorum alter mentis territae motus est, alter corporis ne morbus quidem, sed color.

[(Seneca) rispondendo alla domanda, soggiunge: “Ma perché alla fin fine ti sembrano più veri i sogni di Tito Tazio o di Romolo o di Tullo Ostilio? Tazio dedicò un tempio alla dea Cloacina, Romolo a Pico e Tiberino, Ostilio a Pavore e a Pallore, che sono banali condizionamenti umani di cui il primo è il movimento psicologico della paura, l'altro neanche un male fisico ma soltanto un colorito naturale.”]

A confermare la posizione indicata dalle fonti, l’aspetto del monumento e la peculiarità purificatoria del culto sono stati gli scavi archeologici avvenuti nel Foro Romano nel 1899 che hanno portato alla luce i resti del sacello circolare di Cloacina a ridosso della Basilica Emilia lungo il percorso della via Sacra. Si trova proprio nel punto in cui la Cloaca Massima, nel sottosuolo, entra nell’area del Foro Romano “purificandolo”, è il caso di dirlo, dalle acque stagnanti che originariamente caratterizzavano tutta la zona. Del Sacello di Cloacina rimane il basamento circolare di marmo, databile ad età imperiale, del diametro di circa 2,40 m., con un elemento rettangolare ad ovest dove dovevano impostarsi le scale e dove sono stati visti i montanti di una porta d’ingresso al recinto sacro. Sotto il livello visibile gli scavi hanno identificato delle fasi più antiche, databili ad età repubblicana, di questo piccolo luogo sacro.


Il Sacello di Venere Cloacina davanti alla Basilica Emilia nel Foro Romano.

 

Alla luce di questi dati possiamo qui interpretare in maniera più adeguata l’immagine del sacello fornita dalle monete di L. Mussidius Longus: la struttura a pilastro decorato sulla sinistra delle statue di culto potrebbe essere, invece che un altare, una porta o, vista la dimensione ridotta, una struttura d’ingresso al recinto transennato, visto che ne ricalca approssimativamente lo stesso motivo decorativo. Sulla destra dell’immagine invece una struttura con sopra un elemento sinuoso potrebbe invece ben rappresentare l’altare, con sopra una lingua di fuoco, che doveva servire per i sacrifici in onore di Venere Cloacina.

 

La struttura marmorea del Sacello di Cloacina

 

Gabriele Romano

 

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Fama, malum qua non aliud velocius ullum. 
(La fama, male di cui nessuno altro è più veloce.)
Virgilio, Eneide IV, 174