Capitò che la notizia del suo arrivo in città giungesse proprio in quei giorni in cui Cornelio Balbo stava celebrando degli spettacoli in onore della consacrazione del teatro che ancora oggi porta il suo nome; per questo Balbo assunse un atteggiamento altezzoso, come se spettasse a lui riaccompagnare Augusto nella capitale, sebbene, a causa dell’innalzamento del livello dell’acqua dovuto allo straripamento del Tevere, non si potesse neppure entrare nel teatro se non con un’imbarcazione, e Tiberio diede il suo voto a lui per primo in onore del teatro che aveva fatto costruire.
(Cassio Dione, LIV, 25, 2)
Nella sua “Storia Romana” Cassio Dione (155 – 235 d.C.) racconta la storia dell’Urbe a partire da Enea fino ad arrivare al 229 d.C., diventando sempre più preciso man mano che la narrazione si avvicinava al suo contemporaneo. Non mancano racconti che si riferiscono ad episodi particolari come il passo riportato sopra: l’autore sta narrando del ritorno di Augusto a Roma nel 13 a.C. dopo le campagne vittoriose in Gallia, Germania e Spagna che lo avevano tenuto lontano e si sofferma sul fatto che tale ritorno avvenne negli stessi giorni in cui Lucio Cornelio Balbo il Giovane, stava inaugurando il complesso del teatro da lui fatto erigere utilizzando il bottino di guerra e, in particolare, ricorda che l’accesso al teatro, a causa dell’esondazione del Tevere, era possibile solo mediante una barca.
Lucio Cornelio Balbo il Giovane, nato a Cadice, era il nipote del console del 40 a.C. Lucio Cornelio Balbo Maggiore e, come il suo illustre parente, anche lui fu particolarmente attivo sia nella vita politica che militare di Roma, divenendo console suffetto nel 22 – 21 a.C. e guidando numerose campagne militari in qualità di proconsole d’Africa. Fu proprio durante una di queste battaglie, nello specifico quella contro i Garamanti del 19 a.C., che ottenne un’importante vittoria che gli valse l’onore del trionfo a Roma. Fu un avvenimento senza precedenti in quanto Balbo fu il primo cittadino romano non nato a Roma a celebrare il trionfo, ma allo stesso tempo fu anche l’ultimo personaggio pubblico non appartenente alla famiglia imperiale a poterlo fare.
Grazie all’ingente bottino di guerra ottenuto decise di far costruire un edificio importante nell’Urbe, allineandosi alla propaganda e al programma edilizio di Augusto e Agrippa di abbellimento della città e, in particolar modo della zona del Campo Marzio.
È Svetonio a citare, tra i vari personaggi che risposero all’ “invito” di costruire o restaurare gli edifici pubblici, proprio il teatro di Balbo (Svet. Aug, 29):
“Sed et ceteros principes viros saepe hortatus est, ut pro facultate quisque monumentis vel novis vel referti et excultis urbem adornarent. Multaque a multis tunc exstructa sunt, sicut a Marcio Ohilippo aedes Herculis Musarum, a L. Cornificio aedes Dianae, ad Asinio Pollione atrium Libertatis, a Munatio Planco aedes Saturni, a Cornelio Balbo theatrum…..”
(Ma spesso esortò anche i più ragguardevoli cittadini perché, ciascuno secondo le proprie possibilità, adornassero la città con templi nuovi o restaurando e arricchendo quelli già esistenti. Allora un gran numero di edifici furono realizzati da molti di loro, come il tempio di Ercole alle Muse da Marco Filippo, il tempio di Diana da L. Cornificio, l’atrio della Libertà da Asinio Pollione, il tempio di Saturno da Munanzio Planco, un teatro da Cornelio Balbo…)
Il luogo che egli scelse, quindi, fu il settore Sud Est del Campo Marzio, nella IX Regio, all’interno dell’area ove, nel 435 a.C., era stata edificata la Villa Publica, ossia un parco con edifici templari dove, ogni cinque anni, aveva luogo il censimento del popolo romano. L’area, così come il resto dell’Urbe, dall’età Repubblicana all’epoca augustea aveva subito modifiche e all’epoca di Balbo vi erano già stati costruiti numerosi altri edifici e quindi fu necessario sfruttare al meglio lo spazio rimasto a disposizione.
Balbo decise di far costruire un nuovo teatro stabile che divenne il terzo della città, dopo quello di Pompeo e quello quasi contemporaneo, iniziato da Cesare e poi completato da Augusto, dedicato a Marcello. Era il più piccolo dei tre ma non per questo meno ricco: Plinio in un passo (Nat. Hist. XXXVI, 60) nel quale descrive le caratteristiche e la rarità dell’onice ricorda che Balbo pose nel suo teatro quattro piccole colonne di questo materiale estremamente prezioso (… namque pro miraculo insigni quattuor modicas in theatro suo Cornelius Balbus posuit..) che, si suppone, potessero ornare la scena.
Si calcola che potesse contenere circa 7700 spettatori e restò in uso per moltissimo tempo, conservando sempre il nome del suo costruttore (come ricordato da Cassio Dione nel passo riportato all’inizio).
Il grandioso incendio che colpì Roma nell’80 d.C. non risparmiò neanche tale edificio che fu però restaurato durante il regno di Domiziano, come dimostrano i bolli laterizi.
L’intero complesso ebbe dei rifacimenti anche in epoca adrianea, quando il portico venne sopraelevato di un piano e l’emiciclo dell’abside perse la sua funzione di esedra divenendo una latrina. Nel corso del IV secolo d.C. il teatro era ancora in piedi insieme agli altri due ed è ricordato in un passo di Ausonio di Burdigala, il quale li elenca mentre parla dei ludi teatrali (Lud. Septem Sapientium, 2, 20 – 23):
“..in omne tempus conderet ludis locum: cuneata crevit haec theatri insanita. Pompeius hanc et Balbus et Caesar dedit Octavianus, concernantes sumptibus…”
(..in ogni tempo venne istituito un luogo destinato ai giochi: si decise questa folle forma a cuneo dei teatri. Questa diedero Pompeo, Balbo e Cesare Ottaviano, occupandosi delle spese…)
Nei Cataloghi Regionari, ascrivibili ad epoca costantiniana, il teatro viene ricordato insieme agli altri due all’interno della IX Regio augustea e di tutti viene data anche la capienza in base ai loca: 11.510 per quello di Balbo (circa 7700 spettatori) contro i 20.500 di quello di Marcello (il più grande di tutti) e i 17.580 di quello di Pompeo. Da tale notizia si ricava quindi che era ancora in piedi e funzionante. Altro elemento importante presente nel medesimo testo è la menzione di una Crypta Balbi, che non si trova in notizie precedenti, e che viene ricordata subito dopo le porticus Minucia e Frumentaria ma prima del teatro stesso: si tratta di un luogo vicino al teatro e probabilmente direttamente connesso ad esso anche se nei Cataloghi, essendo appunto solo un elenco topografico degli edifici presenti a Roma in quel periodo, non vengono date altre specifiche.
Frammento 30 abc
Notizie certe quindi della conservazione dell’edificio si hanno fino al IV secolo; dal V probabilmente il teatro inizia la sua fase di decadenza e rovina legata in particolar modo alla diffusione del Cristianesimo, la nuova dottrina che proibiva l’uso dei teatri in quanto considerati come luoghi di peccato. Il lento decadimento durò per secoli finché, nel corso del X secolo, sia il teatro che la relativa crypta vennero trasformati, in epoca medievale, in un fortilizio con chiese ed orti e che in alcuni documenti veniva citato come Castellum Aureum.
Successivamente l’antistante criptoportico venne destinato a botteghe di funari.
Nel corso del Medioevo si insediarono nei locali del teatro numerose case e botteghe, prive però di finestre e oscure: per tale motivo una delle vie limitrofe più famosa, via delle Botteghe Oscure, venne così denominata. Alcuni dei suoi locali vennero utilizzati poi come laboratori per il vetro, alcuni come calcara ed altri anche come stalla, segnando il definitivo degrado del complesso. All’interno delle mura della cosiddetta Crypta sono anche state trovate delle semplici sepolture legate al periodo di abbandono dell’area.
Insieme alle fonti scritti che spesso citano questo edificio, ci sono pervenute due lastre della Forma Urbis Severiana nelle quali è incisa l’iscrizione TEATRVM/ [B]A[L]BI e, grazie ad uno studio lungo e minuzioso, è stato possibile individuare l’esatta collocazione dell’edificio.
Infatti fino al 1960 l’area del teatro, ed in particolare la sua cavea, erano interpretati come la parte curva del Circo Flaminio ma fu in quell’anno che il Gatti, sulla base delle evidenze archeologiche e su uno studio attento e scrupoloso dei frammenti della Forma Urbis Severiana, riuscì a dimostrare che non si trattava del Circo Flaminio bensì del teatro e della Crypta fatti costruire da L. Cornelio Balbo il Giovane nel 13 a.C..
L’area del teatro ricade attualmente tra piazza Paganica, via Paganica, piazza Mattei, via dei Funari, via M. Caetani e via delle Botteghe Oscure.
Il teatro nello specifico era composto da una cavea rivolta ad Ovest e da un’area aperta alle spalle della scena, con orientamento Est – Ovest; tale area era circondata da un portico chiuso e a due piani con finestre in quello superiore (quella attualmente nota come Crypta Balbi); al di sotto si sviluppava un criptoportico le cui funzioni erano collegate alle attività del teatro stesso: in alcuni suoi ambienti si preparavano gli spettacoli, in altri vi erano delle botteghe e, in caso di pioggia, poteva essere utilizzato come luogo di riparo.
La tecnica edilizia scelta era l’opus reticulatum mentre i muri perimetrali del portico, con nicchie che ne spezzavano la linearità, erano in opera quadrata di tufo e travertino. L’area porticata aveva una larghezza di m 67 e, in base alla Forma Urbis, sembra vi fosse al suo interno una costruzione di piccole dimensioni, forse un tempio dedicato a Vulcano, risalente ad epoca precedente al teatro. Al portico in epoca più tarda venne aggiunta un’abside. Del teatro rimangono i resti della cavea inglobati nel palazzo Mattei Paganica.
Nella prima metà degli anni Sessanta e poi di nuovo negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso vennero fatti una serie di scavi volti ad approfondirne la conoscenza. Attualmente alcuni dei locali della crypta ospitano le sale di una delle quattro sedi del Museo Nazionale Romano.
Giuliano da Sangallo resti della Crypta Balbi, 1561.
Manuela Ferrari