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Lunedì, 7 Ottobre 2024

 

NON. OCT.
Nonis Octobribus

Augustalia
Iovis Fulgor
Iuno Quiris

 

A.U.C. MMDCCLXXVII
(anno 2777 Ab Urbe Condita)

Erode Attico, un greco alla corte dei cesari

Herodes Atticus, vir et Graeca facundia et consulari honore praeditus, accersebat saepe, nos cum apud magistros Athenis essemus, in villas ei urbi proximas me et clarissimum virum Servilianum compluresque alios nostrates, qui Roma in Graeciam ad capiendum ingenii cultum concesserant.
Atque ibi tunc, cum essemus apud eum in villa, cui nomen est Cephisia, et aestu anni et sidere autumni flagrantissimo, propulsabamus incommoda caloris lucorum umbra ingentium, longis ambulacris et mollibus, aedium positu refrigeranti, lavacris nitidis et abundis et collucentibus totiusque villae venustate aquis undique canoris atque avibus personante. 

[Mentre eravamo studenti ad Atene, Erode Attico, uomo di rango consolare ed autentica eloquenza greca, spesso mi invitava nelle sue ville vicino alla città, insieme all'onorevole Serviliano e a parecchi altri nostri concittadini, che avevamo abbandonato Roma per la Grecia alla ricerca della cultura.
E lì una volta che eravamo con lui nella villa chiamata Cefisia, durante il calore dell'estate e sotto il bruciante sole autunnale, ci proteggevamo dalla fastidiosa temperatura con l'ombra delle sue spaziose alberature, dei suoi lunghi e gentili corridoi, la fresca collocazione della casa, le sue eleganti piscine con abbondante acqua sorgiva, il fascino della villa nel suo insieme, che era ovunque melodiosa per lo scorrere dell'acqua e per il cantare degli uccelli.]

(Aulo Gellio, Notti Attiche, II, 2)

 

Ritratto di Erode Attico, Parigi, Louvre

 

Lucio Vibullio Ipparco Tiberio Claudio Attico Erode (Maratona 101 d.C. - Atene 177 d.C.), meglio conosciuto come Erode Attico,  fu un letterato e filosofo greco. Nato in una famiglia ricchissima, divenne discepolo di Favorino ad Atene, fu maestro di retorica e appartenne al gruppo della neosofistica (o seconda sofistica). Il padre Tiberio Claudio Attico Erode lo lasciò erede di una immensa ricchezza e Erode Attico ricoprì importanti cariche pubbliche in Grecia e poi a Roma. Amico personale di Adriano (l’imperatore fu un sostenitore della neosofistica) e Antonino Pio, Erode venne chiamato da quest’ultimo a Roma come maestro dei suoi figli adottivi Marco Aurelio e Lucio Vero, futuri imperatori. Nominato senatore, nel 143 d.C. fu fatto console dallo stesso Antonino Pio. Acquistò così una grande autorità, ma questo gli procurò anche inimicizie, soprattutto per il suo carattere irascibile e violento. La sua vicinanza agli imperatori è testimoniata dalle numerose opere pubbliche che finanziò in Grecia ed in Asia Minore, quasi ad integrare le azioni imperiali:  costruì e restaurò numerosi edifici e monumenti ad Atene (realizzò lo stadio, ancora esistente nella ricostruzione del 1896, presso il quale sarà poi la sua tomba, il cosiddetto Odeion sulle pendici sud dell'Acropoli, il Tempio di Tyche e l' agoranòmion), Olimpia (fece costruire il Ninfeo adorno di statue imperiali per celebrare la deduzione dell'acqua nel santuario di Zeus), Corinto (restaurò il teatro e monumentalizzò la fonte Peirene), Eleusi (fece restaurare il portico di Filone nel Telesterion), Delfi, Alessandria, Troia. In Italia finanziò la costruzione dell’acquedotto di  Canusium (attuale canosa di Puglia).

 

L’Odeion di Erode Attico, Atene

 

Nelle sue grandiose ville private in Grecia si trovano esempi mirabili di architettura e opere d’arte, come nella villa di Kephisia dove Erode fa collocare statue commemorative dei tre protetti e figli adottivi Achilleus, Memnon e Polydeukion, raffigurati come cacciatori. Così nella sua villa di Maratona si trovano parallelismi addirittura con la Villa Adriana di Tivoli, come la componente egizia, costituita dalle statue egittizzanti di Antinoo e arricchita dal riferimento a Canopo, e la parte termale costruita su un isolotto che richiama il Teatro Marittimo a Villa Adriana. E ancora nella villa di Loukou troviamo numerose sculture e mosaici (tra cui ritratti dell’imperatore Adriano e di Antinoo, il giovane amato dall’imperatore, la rappresentazione di Achille e Pentesilea e i ritratti di filosofi) a testimoniare la ricchezza e il gusto del proprietario.
Ritiratosi in Atene a causa d'un processo, vi aprì una scuola scuola di retorica e filosofia, dove si formarono tutti i più illustri sofisti del tempo. Erode fu inoltre mecenate di letterati come il romano Aulo Gellio, che ben conosceva la villa di Erode a Kephisia, e che intitolò Notti Attiche la sua miscellanea, composta ad Atene nelle serate d’inverno, come testimonia il brano ricordato all’inizio dell’articolo.  Le più importanti notizie su Erode, oltre le numerose iscrizioni, si ritrovano proprio nel testo di Aulo Gellio e, in modo particolare, nella lunga biografia che scrisse Filostrato (Vite dei sofisti). E proprio in questa biografia possiamo trovare un episodio che spiega l’origine dell’immensa fortuna che il padre lasciò in eredità ad Erode:

“Molte furono le fonti della sua ricchezza e provenienti da varie famiglie, ma la quantità maggiore gli venne da suo padre e da sua madre.
Suo nonno Ipparco aveva subìto la confisca delle sue sostanze sotto l'accusa di aspirare alla tirannide, accusa che gli Ateniesi non avevano perseguito, ma che non era rimasta nascosta all'imperatore. Attico, figlio di costui e padre di Erode, pur essendo diventato povero da ricco che era, non fu abbandonato dalla fortuna, che gli fece scoprire un tesoro immenso in una delle case di sua proprietà, nelle vicinanze del teatro.
Per l'esorbitante grandezza di esso mostrandosi più preoccupato che lieto, scrisse all'imperatore una lettera così concepita: «Ho trovato, o imperatore, un tesoro nella mia casa. Cosa vuoi che ne faccia?» alla quale l'imperatore (che allora era Nerva) rispose: «Usa pure ciò che hai trovato». Ma, persistendo Attico nella sua eccessiva prudenza e insistendo sul fatto che la quantità di quelle era superiore alla sua condizione, quello gli ripeté: «Allora abusa di ciò che Ermes ti ha donato, perché è tuo». E così Attico diventò ricco e più ricco ancora Erode, in quanto oltre ai beni paterni confluirono in lui anche quelli materni non di molto inferiori.”

 

Le tre Tyche, bassorilievo dalla villa di Erode sull’Appia Antica, Parigi, Louvre.

 

A Roma Erode Attico conobbe e sposò Annia Regilla (fatto inconsueto per una nobile donna romana quello di sposare un non romano), discendente delle antiche e nobili famiglie degli Anni e degli Atilii, nonché parente dell'imperatrice Annia Galeria Faustina, moglie di Antonino Pio e quindi zia dei futuri imperatori Marco Aurelio e Lucio Vero. Alle sue già grandi ricchezze unì così quelle della moglie che gli portò in dote, tra l’altro, l’immenso fondo del Triopio, situato sull’Appia antica, che lo stesso Erode dedicò alla memoria della moglie dopo la sua morte. E proprio la morte di Annia Regilla, nel 160 d.C., costituisce un episodio che segnò in maniera particolare la vita di Erode, visto che venne accusato, per il suo carattere violento e collerico, di aver ucciso la moglie dal fratello di lei Annio Atilio Bradua. Ma leggiamo le notizie riportate a riguardo dal biografo Filostrato:

“Fu rivolta contro Erode anche un'accusa di omicidio concepita in questi termini. Sua moglie Regilla, resa gravida da lui, era all'ottavo mese, quando egli per un futile motivo aveva ordinato al suo liberto Alcimedonte di percuoterla; colpita al ventre, la donna aveva abortito ed era morta. Per questo fatto, come se fosse vero, lo accusa di omicidio Bradua, fratello di Regilla, uno dei più stimati fra i consolari, che portava attaccato ai sandali il segno della sua nobiltà, consistente in una fibbia d'avorio lunata.
Presentatosi dunque Bradua in tribunale a Roma, senza portare alcuna prova convincente circa la causa da lui intentata, ma profondendo una grande quantità di parole sulla sua nobiltà, Erode schernendolo disse: «Tu hai la tua nobiltà nei talloni». E vantandosi ancora l'accusatore per i benefici da lui arrecati ad una città dell'Italia, Erode con molta dignità aggiunse: «Anch'io potrei dire molte cose simili sul mio conto, in qualsiasi parte della terra dovessi essere giudicato». Gli giovò a sua difesa in primo luogo il fatto di non aver mai dato un tale ordine contro Regilla, in secondo luogo l'averla rimpianta oltre misura dopo morta. E, sebbene venisse calunniato anche di questo come fosse un atteggiamento simulato, vinse tuttavia la verità.
E infatti non avrebbe dedicato alla sua memoria un teatro cosi stupendo, né avrebbe dilazionato per lei il ballottaggio della sua seconda elezione a console, se non fosse stato innocente, come non avrebbe offerto al tempio di Eleusi gli ornamenti di lei, se nel portarli fosse stato macchiato dal misfatto di uxoricidio, perché con quella azione avrebbe spinto le dee a vendicare il delitto, piuttosto che a concedergli il perdono.
Per lei mutò anche l'aspetto della casa, oscurando i colori vivaci delle pareti con veli, tinteggiature e marmo di Lesbo, un tipo di marmo tetro e livido, per cui si dice che anche Lucio, uomo di grande dottrina, assunto come suo consigliere, non riuscendo a smuoverlo da quell'atteggiamento, prendesse a beffarlo.”

 

Il Tempio di Cerere e Faustina (S.Urbano alla Caffarella) in un disegno di Piranesi e allo stato attuale

Assolto dall’accusa di omicidio fu comunque perseguitato dai pettegolezzi, alimentati dalle manifestazioni estreme di lutto che lo facevano apparire colpevole agli occhi del popolo. Il matrimonio tra i due, comunque, almeno fino al tragico epilogo, sembra essere stato buono. Nacquero 5 figli, tre maschi e due femmine, ed Erode adottò anche altri maschi. La vita della coppia si svolgeva tra Roma e la Grecia ed è proprio in Grecia, probabilmente ad Atene che Annia Regilla venne sepolta dal marito in una tomba monumentale. A Roma rimane il ricordo della donna nel vasto fondo del Triopio al terzo miglio dell’Appia antica (il nome deriva da un santuario dedicato a Demetra a Cnido), precedentemente ricordato, che Erode volle caratterizzare con edifici dedicati alla memoria della moglie: nell’attuale Parco della Caffarella si possono ancora vedere i resti degli edifici voluti da Erode Attico, come il Ninfeo di Egeria, il Tempio di Cerere e Faustina (attuale chiesa di S.Urbano alla Caffarella) e la cosidetta Tomba di Annia Regilla o Tempio del dio Redicolo, in realtà un cenotafio, cioè un sepolcro vuoto, a memoria della moglie. Per avere idea delle dimensioni dell’area occupata dal Triopio basti pensare che ospitava una villa, vastissimi giardini con ninfei e giochi d’acqua, templi e sepolcri; e che nel IV secolo d.C. su una parte di questo vasto complesso Massenzio costruirà la sua villa con il circo e il grandioso mausoleo per il figlio Romolo, riutilizzando nella decorazione scultorea statue, erme e rilievi marmorei appartenenti alla villa di Erode.

 

La c.d. Tomba di Annia Regilla nel Parco della Caffarella

Nella sua scuola filosofica ad Atene Erode Attico si dedicò allo studio e alla scrittura di una numerose opere delle quali è giunta fino ad oggi solo una declamazione “Sullo stato” (Περὶ πολιτείας), di contestata autenticità, e la traduzione latina di una favola.
Negli ultimi anni di vita fu di nuovo protagonista di una vicenda giudiziaria visto che venne portato in tribunale da un tal Demostrato che lo accusava di tirannia. Anche in questo caso, come nell’altra accusa di omicidio della moglie Regilla, l’appello all’imperatore Marco Aurelio, discepolo e amico di Erode Attico, avvenuto a Sirmium dopo il 170 d.C., portò all’assoluzione dell’imputato. Sappiamo che comunque Erode restò nei cuori dei greci visto che almeno diciassette statue onorarie gli furono dedicate nella sola Atene. Un'erma trovata a Corinto ha consentito l’identificazione del suo ritratto, del quale il più noto e pregevole esemplare è un busto conservato al Louvre di Parigi.
Erode Attico morì nel 177 d.C. in Grecia e il suo elogio funebre venne pronunciato da Claudio Adriano da Tiro, suo discepolo. Queste le parole nella biografia scritta da Filostrato che illustrano gli avvenimenti relativi alla morte di Erode Attico:

“Morì di consunzione a circa 76 anni di età. Nonostante fosse morto a Maratona e avesse dato ordine ai suoi liberti di seppellirlo colà, gli Ateniesi, strappatolo dalle mani dei giovani lo portarono in città, precedendo il feretro uomini di ogni età con pianti e grida, come sogliono fare i figli rimasti orfani di un padre affettuoso, e lo seppellirono nello stadio Panatenaico, facendo incidere sulla sua tomba questo breve e solenne epitaffio: «In questo sepolcro giace tutto ciò che rimane di Erode, figlio di Attico, da Maratona, ma la sua fama è diffusa dappertutto».”

Gabriele Romano

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Fama, malum qua non aliud velocius ullum. 
(La fama, male di cui nessuno altro è più veloce.)
Virgilio, Eneide IV, 174