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Mercoledì, 24 Aprile 2024

 

A.D. VIII KAL. MAI.
ante diem octavum Kalendas Maias

 

A.U.C. MMDCCLXXVII
(anno 2777 Ab Urbe Condita)

Antonio Musa, medico di Augusto

Medico Antonio Musae, cuius opera ex ancipiti morbo conualerat, statuam aere coniato iuxta signum Aesculapi statuerunt.

[Al medico Antonio Musa, che lo aveva guarito da una grave malattia, fu eretta, attraverso una sottoscrizione, una statua vicino a quella di Esculapio.]

(Svetonio, Augustus, 59)

Medico esegue operazione su un soldato. Affresco da Pompei.

Antonio Musa, medico, ha avuto la fortuna di passare alla storia per aver guarito Augusto da una non meglio specificata e misteriosa malattia. Sappiamo che fu allievo di Asclepiade di Bitinia, le cui dottrine mediche, influenzate anche dalla filosofia, furono le più seguite dalla medicina del suo tempo. Antonio Musa fu medico personale di Augusto e, molto probabilmente, anche della famiglia imperiale. Infatti sappiamo grazie agli autori antichi che Musa insieme con Quinto Stertinio Senofonte (medico di Caligola e Claudio) e Gaio Stertinio Senofonte (medico di Claudio e Nerone dopo la morte del fratello Quinto) sono stati i medici della dinastia Giulio-Claudia. 

Anche Musa apparteneva ad una famiglia di medici, visto che suo fratello Euforbo fu un importante medico che assistette personalmente re Giuba II di Mauretania. Il rapporto di fiducia tra Giuba e Euforbo sembra essere stato molto profondo, tanto che il re chiamò Euforbia una nuova specie vegetale che aveva scoperto.

Queste le parole di Plinio (Naturalis Historia, XXV, 38):

Invenit et patrum nostrorum aetate rex Iuba quam appellavit Euphorbeam medici sui nomine. frater is fuit Musae, a quo divum Augustum conservatum indicavimus. iidem fratres instituere a balineis frigida multa corpora adstringere; antea non erat mos nisi calida tantum lavari, sicut apud Homerum etiam invenimus.
[E nell'epoca dei nostri padri il re Giuba trovò quella che denominò euforbia dal nome del suo medico. Costui era fratello di Musa, da cui dicemmo salvato l'imperatore Augusto. I fratelli stessi stabilirono di astringere i corpi dopo i bagni con molta acqua fredda; prima non c'era l'abitudine di lavarsi se non con acqua calda, come troviamo anche presso Omero].


Come la maggior parte dei medici dell'antichità anche Antonio Musa si occupava dello studio delle piante e delle loro proprietà, tanto che il suo nome era ricordato anche per uno studio sulla Betonica o Vettonica, un'erba medicinale appunto (Galeno, XIII, 463), e per aver lasciato un libro di ricette in cui è contenuta anche una dieta a base di lattuga (Plino, Naturalis Historia, XIX, 38, 128):

divus certe Augustus lactuca conservatus in aegritudine fertur prudentia Musae medici, cum prioris C. Aemilii religio nimia eam negaret, in tantum recepta commendatione.
[Certamente è descritto salvato dalla lattuga il divino Augusto durante una malattia per la saggezza del medico Musa, mentre la proibiva l’eccessivo scrupolo del (medico) precedente C. Emilio.]


Soggiornò a Samo, dove offrì alla popolazione le sue cure, le quali dovettero aiutare molte persone visto che fu omaggiato con l'erezione di una statua personale nel locale santuario di Era con la seguente motivazione: "a motivo della sua bravura e della benevolenza dimostrata nei loro confronti".
Ma la sua importanza ovviamente fu quella di essere medico personale di Augusto. Per le sua cure all'imperatore gli venne eretta una statua a Roma nel santuario di Esculapio (sull'Isola Tiberina), l'ospedale dell'antica Roma (Svetonio, Augustus, 59). È Cassio Dione a ricordare con dovizia di particolari questo avvenimento (LIII, 30, 3-4):

E proprio nel momento in cui [Augusto] non era più neppure in grado di occuparsi dei problemi più urgenti, un certo Antonio Musa lo salvò con una terapia a base di bagni freddi e di bevande fredde; per questo servigio costui fu lautamente ricompensato sia da Augusto che dal Senato e ottenne il privilegio, dal momento che era un liberto, di portare degli anelli d’oro e di essere esentato dal pagamento delle tasse insieme ai membri della sua categoria, non solo quelli che vivevano a quel tempo, ma anche quelli delle generazioni successive. Ma poiché era necessario che chi si fosse attribuito le opere del destino e della sua sorte ne venisse poi preso di sorpresa, mentre Augusto fu salvato in questo modo, Marcello, invece, non molto tempo dopo si ammalò e, curato da Musa in persona con quella stessa terapia, morì.

Una malattia dunque non meglio specificata colpì Augusto (qualche studioso la interpreta come una infezione allo stomaco o al fegato) e il nostro Antonio Musa lo curò con bagni freddi e bevande fredde. A questa terapia va aggiunta probabilmente una dieta a base di lattuga, come abbiamo visto in precedenza. L’aver salvato l’imperatore valse al medico lo stato di eques, cavaliere, come sembra dimostrare l’anello d’oro tipico della categoria. Un bel compenso se si tiene fede alle parole di Cassio Dione che lo indicano liberto, e dunque ex schiavo. Benemerito anche alla categoria dei medici perché grazie al suo lavoro tutti gli esercitanti la professione potevano essere esentati dalle tasse (in questo Augusto riprese un provvedimento già ordinato da Cesare). Ma, come tutti i medici, anche Musa non poté salvare tutti i suoi pazienti e infatti il tanto amato Marcello, nipote di Augusto e designato alla successione dell’impero, morì mentre, malato, seguiva le terapie di Musa, le stesse usate per la guarigione di Augusto.
Comunque il Senato di Roma fece erigere una statua di Antonio Musa presso il Tempio di Esculapio, dio della medicina, sull’Isola Tiberina nel luogo oggi occupato dalla chiesa di San Bartolomeo, che era, a tutti gli effetti, l’ospedale di Roma antica. Il luogo era stato scelto, secondo la leggenda, dal dio stesso, attraverso il suo serpente sacro, che, portato a Roma da Epidauro, lasciò la nave sulla quale viaggiava per rifugiarsi sull’Isola Tiberina. In quel luogo venne costruito il Tempio di Esculapio ed era li infatti che i malati più poveri si recavano per essere guariti, ma il metodo usato non era certamente dei più scientifici. Come già detto i medici più bravi, quelli che studiavano e ricercavano, erano spesso molto costosi, per lo più greci o provenienti dal mondo ellenistico, dove la disciplina medica era molto avanzata (basti pensare che ad Alessandria si praticava la vivisezione a scopo di ricerca per capire il funzionamento del corpo umano, oppure alla elevata specializzazione degli strumenti chirurgici come quelli trovati all’interno della Domus del Chirurgo di Rimini), e le classi sociali meno ricche si affidavano alle cure degli dei. Nel santuario di Esculapio a Roma i malati venivano ospitati sotto i portici, assistiti dai sacerdoti del dio, che dovevano avere qualche nozione di medicina, ma il loro compito era per lo più di assistenza ai malati che dovevano cercare il rimedio per guarire da soli, affidandosi ai consigli del dio. Questa era la pratica detta incubatio, e consisteva nel passare la notte nel santuario sperando che il dio Esculapio apparisse in sogno e indicasse i rimedi per combattere i mali che affliggevano i malati. Al mattino i sacerdoti aiutavano ad interpretare i segni divini e si provvedeva ad eseguire le cure del caso.

È evidente che si trattava di un metodo religioso piuttosto che di un metodo scientifico, ma la guarigione richiesta dai Romani era la stessa che spesso viene chiesta ancora oggi nei santuari di tutto il mondo, come quelli di Fatima o di Lourdes, o per restare sempre a Roma, nel Santuario del Divino Amore sull’Ardeatina. Come oggi anche allora spesso per le guarigioni ottenute si offrivano ex-voto alla divinità, e infatti dal Tevere provengono migliaia di questi oggetti, per lo più di terracotta, che raffigurano parti anatomiche (piedi, mani, gambe, torsi con organi, organi sessuali) date in omaggio e in cambio di quelli veri risanati da Esculapio. Rodolfo Lanciani ricorda la scoperta avvenuta nel 1885 di un negozio (taberna) di questi ex-voto anatomici in prossimità di Ponte Fabricio, uno degli accessi all’Isola Tiberina. È impressionante notare come la natura ospedaliera si sia conservata all’interno dell’Isola Tiberina, tanto che ancora oggi ospita l’Ospedale Fatebenefratelli.
Con l’età imperiale, soprattutto a partire del tempo di Nerone, sappiamo che a Roma iniziarono ad aprire delle scuole di medicina e delle corporazioni di medici che dovevano servire per aumentare il servizio medico pubblico. Un esempio di queste scuole con professori e studenti al seguito è dato da un epigramma di Marziale che rende bene ancora l’idea che dei medici avevano i Romani (V, 9):

Languebam: sed tu comitatus protinus ad me venisti centum, Symmache, discipulis. Centum me tetigere manus aquilone gelatae: non habui febrem, Symmache, nunc habeo.

[Ero malato, ma tu, con cento allievi, ti sei precipitato da me, o Simmaco. Con cento mani gelate di tramontana mi hanno toccato: non avevo febbre, ma ora, o Simmaco, ce l’ho.]

Solo con Antonino Pio il servizio medico pubblico divenne pressoché obbligatorio, con medici in ogni centro abitato eletti e approvati dai consigli cittadini. Cosa importante è che l’assistenza ai poveri divenne anch’essa obbligatoria e gratuita. Tutto ciò avvenne anche e soprattutto grazie all’operato e agli studi delle  grandi personalità mediche che operavano nell’impero romano e nel mondo antico, proprio come il nostro Antonio Musa, medico di Augusto.

René Patouillard-Demoriane. Ricostruzione monumentale dell'Isola Tiberina nell'antichità (1900)

 

Gabriele Romano

 

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Consilia calida et audacia prima specie laeta, tractatu dura, eventu tristia esse.
(Le decisioni impetuose e audaci in un primo momento riempiono di entusiasmo, ma poi sono difficili a seguirsi e disastrose nei risultati.)
Tito Livio, XXXV, 32