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Lunedì, 2 Dicembre 2024

 

A.D. IV NON. DEC.
ante diem quartum Nonas Decembres

 

A.U.C. MMDCCLXXVII
(anno 2777 Ab Urbe Condita)

Aurelia Nais. Immersioni e pesca nell'antica Roma

 

AURELIA C(ai) L(iberta) NAIS
PISCATRIX DE HORREIS GALBAE
C(aius) AURELIUS C(ai) L(ibertus) PHILEROS
PATRONUS
L(ucius) VALERIUS L(uci) L(ibertus) SECUNDUS.

(CIL VI, 9801)

 

Ad Aurelia Nais, liberta di Caio [Aurelio]
pescatrice dei Magazzini di Galba,
il suo protettore Caio Aurelio Philero, liberto di Caio [Aurelio]
e Lucio Valerio Secondo, liberto di Lucio [Valerio].

 

Questa iscrizione si trova su un’ara dedicatoria rinvenuta nella zona dell’Emporium di Roma, nel rione Testaccio, dove si trovavano gli Horrea di Galba, imponenti magazzini per lo stoccaggio delle merci che arrivavano al porto commerciale della capitale dell’impero. Questo altare viene datato generalmente tra il I e il II secolo d.C. e si trova custodito presso il Museo Nazionale  Romano delle Terme di Diocleziano.
Compare qui il nome di Aurelia Nais, che svolgeva attività di piscatrix, da alcuni interpretata come semplice pescatrice o pescivendola presso le tabernae (negozi) che potevano trovarsi negli horrea di Galba, mentre secondo altri svolgeva la non consueta professione, per una donna, di sommozzatrice presso questi magazzini. In alcune iscrizioni trovate sia a Roma che ad Ostia infatti le due corporazioni di pescatori e sommozzatori compaiono spesso insieme come ad evidenziare un mestiere analogo o complementare. I pescatori sono  indicati come piscatores, mentre il termine specifico che indica i sommozzatori è quello di urinatores, traducibile più tecnicamente con palombari.
La complementarità di queste professioni è testimoniata inoltre proprio da una di queste iscrizioni trovate a Roma (CIL VI, 1872)  nei pressi del portus tiberinus, vicino al Tempio di Portuno, datata al 206 d.C., dove Tiberio Claudio Severo, patrono della corporazione di pescatori e sommozzatori del Tevere (totius alveo Tiberis) è indicato come svolgente entrambe le funzioni. Proprio per questo sembra più suggestivo proporre per la nostra Aurelia Nais un doppio lavoro di pescatrice e sommozzatrice. Ma a cosa servivano a Roma e nell’impero questi sommozzatori ante litteram? È indubbio che, oltre alla pesca e alla raccolta di spugne e conchiglie, la loro principale attività venisse svolta in funzione dei porti commerciali, ripescando e recuperando materiali e cibarie che cadevano nel fiume o nel mare; svolgevano inoltre attività di pulitura degli alvei dei fiumi e dei bacini dei porti ed erano addetti  al disincaglio delle navi. Altra funzione importante era probabilmente quella di assistere e coordinare i lavori edilizi all’interno dell’acqua, come la costruzione di porti, moli, banchine e ponti. Una testimonianza di questa funzione essenziale e altamente tecnica è fornita da una fonte del IV secolo d.C. (Simmaco, Relationes, 26) dove si menziona un urinandi artifex, usato come testimone chiave ad un processo contro due senatori accusati di  aver sottratto indebitamente i fondi di un appalto di costruzione di un ponte ed una basilica. Una piena distrusse il ponte in questione e nelle indagini condotte si rilevò l’uso di materiale non idoneo nella costruzione dei piloni costruiti nel letto del fiume: per questo motivo fu interrogato il sommozzatore che prese parte alla posa in opera in acqua delle strutture del ponte.
Questi sommozzatori romani dunque godevano di una certa considerazione nella società romana viste le indubbie capacità tecniche messe a servizio della collettività, e per questo ottennero la concessione durante l’impero di riunirsi in corporazioni. Dalle fonti antiche infatti sappiamo che questi antenati dei moderni sub potevano raggiungere profondità fino a circa 30 metri ed usavano tutta una serie di espedienti per agevolare e prolungare queste rischiose immersioni: erano soliti stringere dei pesi in una mano per favorire le immersioni o seguire una corda legata ad masso (scandaglio) per facilitare anche la risalita; alle orecchie mettevano dei tappi di spugna per proteggersi dalla pressione dell’acqua e, a volte, si foravano  i timpani per semplificare la loro permanenza in apnea; Plinio (Naturalis Historia, II, 234) ricorda come fossero soliti usare dell’olio al fine di migliorare la visibilità: si immergevano infatti tenendo nella bocca una quantità d’olio che poi facevano fuoriuscire una volta in apnea per migliorare la visione sott’acqua (omne oleo tranquillari et ob id urinatores ore spargere quoniam mitiget naturam asperam lucemque deportet).
Per questo lavoro il compenso sembra fosse stabilito in una parte del valore del materiale recuperato durante la loro attività (percentuale che aumentava in base alla maggiore profondità dell’operazione di recupero) e, visto il valore che molte merci dovevano avere, si desume che il salario complessivo di questi sommozzatori dovesse essere abbastanza alto. La legislatura relativa era infatti regolata nella lex Rhodia de iactu contenuta nel Digesto (XIV, 2), il codice legislativo voluto da Giustiniano nel 533 d.C. Una testimonianza dell’attività degli urinatores e sul tipo di merce che potevano recuperare dai fondali marini e fluviali è rappresentata, figurativamente, su un rilievo votivo ritrovato ad Ostia, vicino al Tempio di Ercole, e conservato nel Museo degli scavi di Ostia antica: sono infatti rappresentate sei figure, probabilmente sommozzatori e pescatori che stanno recuperando dall’acqua, con una rete, la statua di una divinità, probabilmente lo stesso Ercole che sarà poi collocato nel tempio di Ostia.

  Rilievo votivo da Ostia antica

Ma gli urinatores romani non sono altro che l’ultima evoluzione dei palombari dell’antichità. Infatti già nel IX secolo a.C. abbiamo testimonianze, per quanto riguarda gli Assiri, di sommozzatori che usavano otri pieni d’aria per respirare sott’acqua. Questa tecnica di immersione è raffigurata su un rilievo databile all’883 – 859 a.C., proveniente dal Palazzo di Assurnasirpal II di Nimrud, in Iraq, e conservata al British Museum, che rappresenta un’azione militare di risalita di un fiume per accedere ad una città assediata. Aristotele parla di tubi per respirare in acqua (De partibus animalium, 2, 16; 659 a, 9), precursori dei moderni boccagli usati per l’odierno “snorkeling”. Erodoto ricorda (Storie, VIII, 8) un tal Scillia di Sicione che percorse a nuoto 80 stadi (circa 16 km) durante le Guerre Persiane del V secolo a.C. per poi tagliare le funi di ormeggio delle navi nemiche e lasciarle in balia di una tempesta. Tucidide descrive invece la missione di alcuni subacquei che nel 426 a.C., durante la Guerra del Peloponneso, soccorsero gli Spartani portando degli otri sotto la superficie  dell’acqua (Storie, IV, 26, 8). E ancora lo stesso storico ricorda il taglio di pali di legno a protezione del porto di Siracusa operato sott’acqua dai sommozzatori ateniesi durante la guerra tra Atene e la città siciliana nel 414 a.C. (Storia, VII, 25).
Altri urinatores sono ricordati da Livio (XLIV, 10) in occasione della guerra tra Roma e Perseo di Macedonia nel 168 a.C., quando ripescarono dalle acque molti tesori gettati in mare frettolosamente dallo stesso Perseo per paura che cadessero in mano dei nemici. Curioso e tremendo il fatto che tutti questi sommozzatori furono fatti uccidere perché non restasse in vita nessun testimone di quell’ordine frettoloso e scellerato.
Infine l’uso regolare di un reparto di sommozzatori, o almeno l’esistenza di soldati specializzati in questa attività, sembra potersi desumere anche nell’esercito romano grazie ad un brano di Cassio Dione (XLII 12, 2) il quale, sullo sfondo della guerra civile tra Cesare e Pompeo, descrive lo sgombro di materiali che chiudevano il porto di Oricum, in Epiro, proprio da parte di sommozzatori di Pompeo.

 

Rilievo da Nimrud

Rimane soltanto  una curiosità da riportare, e cioè l’etimologia del loro nome latino: urinatores. Secondo Varrone (De Lingua latina, V, 7, 126) urinari est mergi in aquam, cioè chi si immerge nell’acqua o ha a che fare con l’acqua. Varrone spiega inoltre che anche il termine urnae con cui sono chiamate le brocche per l’acqua deriva proprio da urinari perché si riempiono immergendole nell’acqua (De Lingua Latina V, 126).  Secondo la vulgata infatti lo stesso significato di acqua era originariamente reso in latino con il termine urina. Secondo un’altra ipotesi invece il nome di urinatores deriverebbe dal fatto che i sommozzatori, esposti costantemente ad uno stato di stress fisiologico in apnea, aumentino abbondantemente la diuresi nel corso della giornata (fatto provato scientificamente dalla medicina moderna). Così probabilmente il nome deriverebbe da urinari nel senso di urinam facere, lasciando la creazione del nome di una categoria di lavoratori alle battute e ai commenti riguardo la “particolarità” fisiologica dei sommozzatori.
Quindi Aurelia Nais, che doveva svolgere il suo lavoro sulle rive del Tevere per i magazzini di Galba, un lavoro tutto sommato abbastanza tranquillo diviso com’era tra pesca e qualche recupero di materiale, faceva parte di un mondo, quello dei pescatori e sommozzatori, che operava in un campo assai vasto che comprendeva tutto ciò che aveva a che fare con l’acqua, dalla pesca al recupero di materiali vari caduti nelle acque fluviali o marine, dalla costruzioni di porti, banchine e ponti, fino ad arrivare a vere e proprie missioni militari tra le acqua pericolose solcate dalle navi dei nemici.


Gabriele Romano

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Utendum est aetate: cito pede labitur aetas nec bona
tam sequitur, quam bona prima fuit
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(La vostra età vivetela, che con rapido piede se ne fugge,
e quella che la segue non è bella altrettanto.)
Ovidio, Ars Amatoria, III, 65-67