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Giovedì, 25 Aprile 2024

 

A.D. VII KAL. MAI.
ante diem septimum Kalendas Maias

Robigalia

 

A.U.C. MMDCCLXXVII
(anno 2777 Ab Urbe Condita)

Il Flamen Dialis, un dio tra i Romani

 

 

 

QUEI ∙ APICE INSIGNE ∙ DIAL[IS  FL]AMINIS ∙ GESISTEI
MORS ∙ PERFE[CIT] TUA ∙ UT ∙ ESSENT ∙ OMNIA
BREVIA ∙ HONOS ∙ FAMA ∙ VIRTUSQUE
GLORIA ∙ ATQUE ∙ INGENIUM ∙ QUIBUS SEI
IN ∙ LONGA ∙ LICU[I]SET ∙ TIBE UTIER VITA
FACILE ∙ FACTEIS SUPERASES ∙ GLORIAM
MAIORUM QUA ∙ RE ∙ LUBENS ∙ TE ∙ IN GREMIU
SCIPIO RECIP[I]T  ∙TERRA ∙ PUBLI
PROGNATUM ∙ PUBLIO ∙ CORNELI

[Tu che hai portato l’apex, insegna del flamine Diale, la morte fece sì che le tue cose fossero tutte brevi: l’onore, la fama, il valore, la gloria e l’ingegno. Se avessi potuto goderne per una lunga vita, facilmente con le tue imprese avresti superato la gloria dei tuoi antenati. Perciò la terra riceve volentieri nel suo grembo te, o Publio Cornelio Scipione, nato da Publio]

(CIL VI, 1288)

Questa iscrizione in versi saturni venne scoperta all’interno della Tomba degli Scipioni sull’Appia antica, ed è conservata ai Musei Vaticani. Si riferisce a Publio Cornelio Scipione, probabilmente il figlio di Publio Cornelio Scipione l’Africano, che fu Flamen Dialis, sacerdote di Giove. Vissuto tra il 211 a.C e il 170 a.C. (periodo che l’epigrafe confermerebbe visto che può essere datata tra il 180 e il 160 a.C.) ebbe il merito di aver adottato come figlio Lucio Emilio Paolo che diventerà Publio Cornelio Scipione Emiliano, distruttore di Cartagine alla fine della terza guerra punica (146 a.C.), e distruttore di Numanzia (133 a.C.) nella terza guerra celtibera. Ma ad interessarci in questo caso è la carica sacerdotale ricoperta da Publio Cornelio Scipione, che è quella di Flamine di Giove. Nella religione romana si trovano delle figure sacerdotali particolari, i flamini appunto, che possiedono delle caratteristiche che li distinguono nettamente da tutti gli altri sacerdoti romani. I flamini si dividevano in maggiori e minori: i maggiori erano tre ed erano legati alle divinità più importanti Giove (Flamen Dialis), Marte (Flamen Martialis) e Quirino (Flamen Quirinalis); i minori erano invece una decina e legati a divinità meno importanti come Carmenta (Flamen Carmentalis), Cerere(Flamen Cerealis), Falacer (Flamen Falacer), Flora (Flamen Florealis), Furrina (Flamen Furinalis), Palatua (Flamen Palatualis), Pomona (Flamen Pomonalis), Portuno (Flamen Portunalis), Vulcano (Flamen Vulcanalis), Volturno (Flamen Volturnalis).

 

Iscrizione del Flamen Dialis Publio Cornelio Scipione, Musei Vaticani.

 

Oltre ai flamini citati si trovano menzionati nei testi e nelle iscrizioni anche: flamines Curiales, sacerdoti dediti al culto delle singole Curie: flamines Arvales addetti al culto della dea Dia: flamines Lanuvini, per il culto dei Penati a Lanuvio. Furono chiamati anche flamini i sacerdoti addetti al culto dei singoli imperatori divinizzati: flamen Iulianus, Augustalis, Claudialis, Ulpialis, Commodianus, e le imperatrici ebbero invece delle flaminicae. Il flamen Augusti si trovava anche nei municipi, e nelle provincie dell’impero il flamine imperiale era il fulcro delle celebrazioni religiose.

I Flamini incarnavano in tutto e per tutto la divinità a cui erano associati e tra questi il Flamine di Giove, in latino flamen Dialis (dal nome greco di Giove, Dios), è quello del quale ci sono giunte più notizie, per la sua importanza rispetto agli altri flamini e per i vincoli particolari che circondavano la sua figura e regolavano il suo comportamento nella società romana. Plutarco (Quaestiones Romanae, 111) lo definisce “l’incarnazione animata e l’immagine sacra del dio”, e Aulo Gellio (Noctes Atticae, X, 15) sottolinea la particolarità del sacerdozio legato strettamente al rispetto di tutta una serie di doveri e di divieti. La sua importanza particolare era evidenziata dal fatto che era l'unico tra i sacerdoti dell’antica Roma che poteva presenziare alle sedute del Senato con il diritto alla sella curulis e a vestire con la toga praetexta, l’abito caratterizzato da un orlo con striscia di porpora indossato dai magistrati e dalle più alte cariche sacerdotali; poteva inoltre essere preceduto da un littore. Queste le parole di Livio (I, 20) che ne ricorda l’istituzione da parte di Numa Pompilio:

“flaminem Iovi adsiduum sacerdotem creavit insignique eum veste et curuli regia sella adornavit.”

[Designò un flamine a sacerdote unico e perpetuo di Giove, dotandolo di una veste speciale e della sedia curule, simbolo dell'autorità regale.]

Come gli altri Flamini anche quello di Giove indossava un particolare copricapo chiamato apex, che nel caso particolare del Flamen Dialis era costituito da un berretto (albogalerus) fatto della pelle di una vittima sacrificata a Giove e sormontato da un bastoncino di legno a cui era attorcigliato un filo di lana (apex). La migliore rappresentazione del vestiario e del copricapo particolare dei flamini è quella che si può osservare sul fregio dell’Ara Pacis a Roma e che abbiamo messo all’inizio di questo articolo. Secondo gli autori antichi il nome di flamen sarebbe derivato proprio dal filum o filamentum dell'apex, mentre secondo studi recenti dovrebbe derivare invece da flare, cioè dall' accendere e dal soffiare il fuoco sull'altare del sacrificio. Per accedere alla carica di Flamine di Giove (o degli altri flamini maggiori) bisognava essere patrizi (i flamini minori potevano essere anche plebei), in più bisognava essere nati da un matrimonio celebrato con il rito della confarreatio, e sposati con lo stesso rito (quello della confaerratio era un rituale di matrimonio tra i più sacri del mondo romano, che prendeva nome dall’uso di condividere delle focacce di farro come promessa di condividere la vita). I flamini maggiori erano eletti dal popolo nei comizi curiati ed erano inaugurati dal Pontefice Massimo mediante la cerimonia della captio (come avveniva per le Vestali) e infatti i flamini erano come i “figli” del Pontefice Massimo e potevano essere puniti o addirittura fatti dimettere dallo stesso pontefice in caso di condotta immorale o di demerito nei confronti della religione romana.

 

Ritratto di Flamine (III sec. d.C.), Louvre, Parigi

 

 

La moglie del Flamen Dialis era la Flaminica Dialis e anche per lei c’era tutta una serie di doveri e divieti: Ovidio (Fasti, III, 393-398) ricorda che a marzo, durante la danza dei Salii, sacerdoti di Marte, non poteva pettinarsi e dalla stessa attività doveva astenersi durante i primi quindici giorni di giugni (Fasti, VI, 227-234); inoltre doveva sempre indossare il flammeum, una veste di colore rosso fuoco, colore del fulmine di Giove (Paul. Fest. 82 L.). La loro unione era talmente importante dal punto di vista religioso che non potevano divorziare (il flammeum era infatti indossato dalle spose romane il giorno delle nozze come augurio di un lungo matrimonio come quello della flaminica) e in caso di morte della flaminica il flamine doveva abbandonare la carica sacerdotale. Tale era la sacralità di questa carica che soltanto nel 119 a. C. fu concesso ai flamini maggiori di poter essere eletti alle magistrature. Allo stesso modo solo con Augusto e Tiberio si cercò di mitigare, in parte, i tanti vincoli che caratterizzavano il flaminato di Giove. Ma per avere un’idea di queste sacre imposizioni a cui erano sottoposti i flamini di Giove e le loro mogli riportiamo integralmente il brano di Aulo Gellio che li elenca (Noctes Atticae, X, 15, 1-32):

I. Caerimoniae impositae flamini Diali multae, item castus multiplices, quos in libris, qui da sacerdotibus publicis compositi sunt, item in Fabii Pictoris librorum primo scriptos legimus.
[Molti obblighi sacri sono imposti al Flamine di Giove, e anche molti divieti, dei quali leggiamo nei libri scritti dai sacerdoti pubblici, e dei quali possiamo leggere anche nel primo libro di Fabio Pittore.]

  1. Unde haec ferme sunt, quae commeminimus:
    [Di questi i seguenti sono in generale quelli che ricordo:]

III. Equo Dialem flaminem vehi religio est;
[è divieto sacro per il Flamine di Giove viaggiare a cavallo;]

IV. item religio est classem procinctam extra pomerium, id est exercitum armatum, videre; idcirco rarenter flamen Dialis creatus consul est, cum bella consulibus mandabantur;
[allo stesso modo gli è precluso il vedere le truppe schierate fuori dal pomerium, cioè l’esercito nello schieramento di battaglia; quindi il sacerdote di Giove è raramente fatta console, dal momento che le guerre sono state affidate ai consoli;]

V. item iurare Dialem fas numquam est;
[allo stesso modo non è mai permesso al Diale il prestare giuramento;]

VI. item anulo uti nisi pervio cassoque fas non est.
[allo stesso modo non è mai permesso di indossare un anello, a meno che non sia aperto e vuoto (senza gemma).]

VII. Ignem e "flaminia", id est flaminis Dialis domo, nisi sacrum efferri ius non est.
[non si può prelevare il fuoco dalla “flaminia”, cioè la casa del Flamine Diale, a meno che non serva per usi sacri.]

VIII. Victum, si aedes eius introierit, solvi necessum est et vincula per impluvium in tegulas subduci atque inde foras in viam demitti.
[se una persona in catene entrava nella sua casa, doveva essere liberata e le catene dovevano essere portate sul tetto attraverso l'impluvium e quindi da li gettate in strada.]

IX. Nodum in apice neque in cinctu neque alia in parte ullum habet.
[Non può avere un nodo nel copricapo, nella cintura, o in qualsiasi altra parte del suo vestito.]

X. Si quis ad verberandum ducatur, si ad pedes eius supplex procubuerit, eo die verberari piaculum est.
[Se qualcuno preso per essere frustato si sarà prostrato ai suoi piedi come un supplice, in quel giorno sarà proibito percuoterlo.]

XI. Capillum Dialis, nisi qui liber homo est, non detondet.
[I capelli del Diale non possono essere tagliati se non da un uomo libero.]

XII. Capram et carnem incoctam et hederam et fabam neque tangere Diali mos est neque nominare.
[Non è consuetudine per i Diali toccare, o anche nominare, la capra, la carne cruda, l’edera, e le fave.]

XIII. Propagines e vitibus altius praetentas non succedit.
[Non passa sotto i tralci di vite legati]

XIV. Pedes lecti, in quo cubat, luto tenui circumlitos esse oportet et de eo lecto trinoctium continuum non decubat neque in eo lecto cubare alium fas est neque ... Apud eius lecti fulcrum capsulam esse cum strue atque ferto oportet.
[I piedi del letto su cui dorme devono essere spalmati con un sottile strato di argilla, e non deve dormire lontano da questo letto per tre notti consecutive, e nessun altro deve dormire in quel letto… Ai piedi del suo letto è necessario che ci sia una scatola con una focaccia e un dolce sacro.]

XV. Unguium Dialis et capilli segmina subter arborem felicem terra operiuntur.
[Le unghie e capelli tagliati del Diale devono essere sepolti nella terra sotto un albero “felice” (fruttuoso).]

XVI. Dialis cotidie feriatus est.
[Ogni giorno per il Diale è di festa.]

XVII. Sine apice sub divo esse licitum non est; sub tecto uti liceret, non pridem a pontificibus constitutum Masurius Sabinus scripsit et alia quaedam remissa,
[Non gli è consentito stare allo scoperto senza il copricapo (apex); gli era consentito solo in casa,  come deciso da non molto tempo da una legge dei pontefici secondo quanto scritto da Masurio Sabino, e altre cose sono state condonate,]

XVIII. gratiaque aliquot caerimoniarum facta dicitur.
[e ha avuto la grazia da alcune altre prescrizioni.]

XIX. Farinam fermento inbutam adtingere ei fas non est.
[Non gli è permesso toccare la farina fermentata con il lievito.]

XX. Tunica intima nisi in locis tectis non exuit se, ne sub caelo tamquam sub oculis Iovis nudus sit.
[Non si poteva togliere la tunica intima se non in luoghi coperti, affinchè non fosse nudo all’aperto e sotto gli occhi di Giove.]

XXI. Super flaminem Dialem in convivio, nisi rex sacrificulus, haut quisquam alius accumbit.
[A tavola nessuno altro poteva sedere in posizione più elevata del Flamine Diale, ad eccezione del Rex Sacrorum.]

XXII. Uxorem si amisit, flamonio decedit.
[Se perdeva la moglie la carica di flamine veniva ritirata.]

XXIII. Matrimonium flaminis nisi morte dirimi ius non est.
[Non si può sciogliere il matrimonio del Flamine se non con la morte.]

XXIV. Locum, in quo bustum est, numquam ingreditur, mortuum numquam attingit;
[Non può mai entrare nel luogo nel quale si fa la pira funebre, né può toccare cadaveri;]

XXV. funus tamen exsequi non est religio.
[però non ha il divieto di assistere ai funerali.]

XXVI. Eaedem ferme caerimoniae sunt flaminicae Dialis;
[Gli obblighi sacri della Flaminica Diale sono all’incirca gli stessi;]

XXVII. alias seorsum aiunt observitare, veluti est, quod venenato operitur,
[e altri in particolare che dicono debba osservare attentamente, come per esempio, indossare una veste colorata,]

XXVIII. et quod in rica surculum de arbore felici habet,
[avere nel velo un ramoscello dell’albero “felice”,]

XXIX. et quod scalas, nisi quae Graecae appellantur, escendere ei plus tribus gradibus religiosum est atque etiam,
[e sulle scale, se non si tratta di scale “Greche”, le è vietato salire per più di tre gradini, e]

XXX. cum it ad Argeos, quod neque comit caput neque capillum depectit.
[quando si reca alla cerimonia degli “Argei” non può acconciarsi la testa né pettinarsi i capelli.]

XXXI. Verba praetoris ex edicto perpetuo de flamine Diali et de sacerdote Vestae adscripsi: "Sacerdotem Vestalem et flaminem Dialem in omni mea iurisdictione iurare non cogam."
[Riporto le parole del pretore nel suo editto perpetuo riguardo al Flamine Diale e alla sacerdotessa di Vesta: "In tutta la mia giurisdizione non siano costretti il Flamine di Giove o una sacerdotessa di Vesta a prestare giuramento”.]

XXXII. Verba M. Varronis ex secundo rerum divinarum super flamine Diali haec sunt: "Is solum album habet galerum, vel quod maximus, vel quod Iovi immolata hostia alba id fieri oporteat."
[Le parole di Marco Varrone sul Flamine Dialie, nel secondo libro delle questioni divine, sono le seguenti: “Lui solo ha un berretto bianco, o perché è il massimo dei sacerdoti, o perché la vittima bianca dovrebbe essere sacrificato a Giove”.]

 

Ritratto di Flamine (120 d.C.), Gliptoteca, Monaco.

 

Altre notizie riguardo il Flamen Dialis si possono ricavare in particolare da Tacito (Annales, III, 71) che ricorda come il sacerdote di Giove non poteva abbandonare o lasciare l'Italia per qualsiasi motivo, e in un altro brano (Annales, IV, 16) riporta il nome di Servio Maluginense, Flamen Dialis, e la complessa procedura di selezione per il suo successore avvenuta alla sua morte nella prima età imperiale:

“Sub idem tempus de flamine Diali in locum Servi Maluginensis defuncti legendo, simul roganda nova lege disseruit Caesar. nam patricios confarrc atis parentibus genitos tres simul nominari, ex quis unus legeretur, vetusto more; neque adesse, ut olim, eam copiam, omissa confarreandi adsuetudine aut inter paucos retenta (pluresque eius rei causas adferebat, potissimam penes incuriam virorum feminarumque; accedere ipsius caerimoniae difltcultates quae consulto vitarentur) et quoniam exiret e iure patrio qui id flamonium apisceretur quaeque in manum flaminis conveniret. ita medendum senatus decreto aut lege, sicut Augustus quaedam ex horrida illa antiquitate ad praescentem usum flexisset. igitur tractatis religionibus placitum instituto flaminum nihil demutari: sed lata lex qua flaminica Dialis sacrorum causa in potestate viri, cetera promisco feminarum iure ageret. et filius Maluginensis patri suffectus.”

[Nello stesso periodo ci fu un intervento di Cesare relativo all’elezione del flamine diale, in sostituzione di Servio Maluginense venuto a morte, e assieme alla necessità di introdurre una nuova normativa in materia. In realtà, secondo l’antica procedura, si dovevano indicare simultaneamente tre patrizi, nati da genitori uniti in matrimonio col rito della confarreazione, e la scelta era ristretta a uno di questi; ma non c’era più, come un tempo, una vasta disponibilità di candidati, perché la confarreazione era caduta in disuso e veniva praticata solo da pochi (e Tiberio adduceva numerosi motivi del cambiamento, tra cui il principale era l’indifferenza di uomini e donne e, inoltre, la complessità del cerimoniale, deliberatamente evitato) e perché chi assumeva l’ufficio di flamine e colei che passava sotto la sua decisione maritale, si sottraevano alla patria autorità. Occorreva Dunque porre rimedio con un decreto del senato oppure con una legge, sull’esempio di Augusto, che aveva adattato alle esigenze moderne norme ispirate alla rude mentalità degli antichi. Presa dunque in esame la materia religiosa, si decretò di non mutare nulla nell’istituto dei flamini, ma si propose una nuova legge, per cui la sposa del flamine diale, nell’ambito del culto, soggiacesse alla autorità maritale e, per il resto, vivesse con gli stessi diritti goduti dalle altre donne. Il figlio di Maluginense successe alla carica del padre.]

Nel brano si evidenzia come la scelta dei pretendenti fosse molto limitata dalle rigidissime  norme per la selezione dei candidati, che nello specifico, oltre ad essere patrizi, dovevano essere nati da un matrimonio celebrato con il rito della confaerratio, citato in precedenza, e a loro volta sposati con lo stesso rituale. Soprattutto in età imperiale tale legame matrimoniale si era andato sempre più esaurendo vista la rigidità delle regole a cui era sottoposta sorattutto la sposa. Per questo motivo troviamo notizia di provvedimenti di Augusto e Tiberio per cercare di mitigare, dove possibile, la rigidità sacrale e legislativa connessa a questa carica sacerdotale. Proprio per evidenziare queste caratteristiche un altro brano di Tacito (Annales, III, 58) che parla sempre del nostro flamen Dialis Servio Maluginense è interessante per sottolineare come questo sacerdozio nel corso della storia romana sia stato vacante anche per lunghi periodi:

“Inter quae provincia Africa Iunio Blaeso prorogata, Servius Maluginensis flamen Dialis ut Asiam sorte haberet postulavit, frustra vulgatum dictitans non licere Dialibus egredi Italia neque aliud ius suum quam Martialium Quirinaliumque flaminum: porro, si hi duxissent provincias, cur Dialibus id vetitum? nulla de eo populi scita, non in libris caerimoniarum reperiri. saepe pontifices Dialia sacra fecisse si flamen valetudine aut munere publico impediretur. quinque et septuaginta annis post Cornelii Merulae caedem neminem suffectum neque tamen cessavisse religiones. quod si per tot annos possit non creari nullo sacrorum damno, quanto facilius afuturum ad unius anni proconsulare imperium? privatis olim simultatibus effectum ut a pontificibus maximis ire in provincias prohiberentur.”

[Intanto, dopo la proroga a Giunio Bleso del governo nella provincia d'Africa, il flamine diale Servio Maluginense chiese di poter concorrere al sorteggio per la provincia d'Asia, sostenendo l'inesattezza dell'opinione corrente, per cui si faceva divieto ai flamini diali di uscire dall'Italia, convinto che i loro diritti non differivano da quelli dei flamini di Marte e Quirino: quindi, se loro avevano retto province, perchè vietarlo ai diali? In merito poi non esistevano deliberazioni prese dal popolo o disposizioni nei testi cerimoniali. Spesso i pontefici avevano celebrato i riti diali, quando un flamine era impedito per cause di salute o pubblici incarichi. Settantacinque anni dopo il suicidio di Cornelio Merula nessuno l'aveva sostituito, e non per questo i riti religiosi erano stati sospesi. Se dunque era stato possibile non nominarne uno per tanti anni senza danno per il culto, tanto più facilmente poteva stare assente un solo anno e ricoprire la carica di proconsole. E se tempo addietro era accaduto che i pontefici massimi impedissero ai diali di andare nelle province, ciò era avvenuto solo per rancori privati.]

A sinistra: rilievo con flamine davanti ad un tempio identificato con quello di Quirino(età augustea);

a destra rilievo con flamine davanti ad un tempio non meglio identificato ((I-II sec. d.C.).

 

Grazie a questo brano conosciamo anche le lotte dei flamini di Giove per avere più libertà in ambito politico, ma soprattutto abbiamo notizia di settantacinque anni di vacanza del sacerdozio dopo la morte del Flamine Lucio Cornelio Merula. Vale la pena di spendere qualche riga per ricordare questo personaggio che visse l’intenso periodo di lotte interne tra Mario e Silla: eletto Flamen Dialis venne ricordato per la particolarità di portare sempre in testa l’apex, non come gli altri flamini che lo indossavano solamente durante i riti (Appiano, De bellis civilibus, I, 65); inoltre nell’87 a.C. Cornelio Merula venne eletto console dal Senato, nonostante i divieti sacri connessi al suo flaminato, per sostituire Lucio Cornelio Cinna, condannato all’esilio. Al ritorno di Mario e Cinna lasciò il consolato e venne accusato, falsamente, di aver assassinato i seguaci di Mario. Queste le parole di Velleio Patercolo (II, 22) che descrivono gli ultimi atti della vita di Lucio Cornelio Merula, Flamine di Giove:

“Merula autem, qui se sub adventum Cinnae consulatu abdicaverat, incisis venis superfusoque altaribus sanguine, quos saepe pro salute rei publicae flamen dialis precatus erat deos, eos in execrationem Cinnae partiumque eius tum precatus optime de re publica meritum spiritum reddidit.”

[Invece Merula, che aveva abdicato dal suo consolato al ritorno di Cinna, si aprì le vene e mentre il suo sangue veniva versato sugli  altari, presso i quali spesso, come Flamine di Giove, aveva pregato gli dei per la salvezza della Repubblica, gli stessi dei pregava di maledire Cinna e il suo partito, e in questo modo ha reso la vita che aveva servito così bene la Repubblica.]

Fu un suicidio che colpì l’attenzione pubblica per l’importanza della carica sacerdotale coinvolta e per la modalità sacra, quasi un sacrificio umano sull’altare. Sembra inoltre che per rendere ancora piu sacro il suo sacrificio, come testimoniano le parole di Floro (Compendio di Tito Livio, III, 22), questo sia avvenuto sul Campidoglio bagnando con il sangua anche la statua di Giove Capitolino. La maledizione comunque colpì efficacemente gli avversari chiamati in causa perché Cinna, dopo tre consolati, morì nell’84 a.C. e il suo partito, quello mariano, venne sconfitto definitivamente da Silla il 1 novembre dell’82 a.C. con la battaglia di Porta Collina.

Denario di Cesare con la rapppresentazione di strumenti sacri tra cui l’apex, il copricapo dei flamini.

 

Concludiamo l’esposizione intorno al Flamen Dialis citando forse il più famoso personaggio della storia romana che venne destinato a ricoprire questa carica: Caio Giulio Cesare.
Cesare fu designato Flamine di Giove in giovane età, a 17 anni, ma visto che aveva sposato Cornelia, figlia di Cinna, alleato di Mario, ebbe per avversario lo stesso Silla che, non riuscendo a fargli ripudiare la moglie, gli fece revocare la carica e lo perseguitò costringendolo a corrompere varie spie e persino a fuggire per un periodo da Roma (Svetonio, Caesar, 1). La questione si risolse con il perdono di Cesare da parte di Silla su intercessione di amici influenti. Fu questa l’occasione nella quale si ritiene che Silla esclamasse le famose parole riportate da Svetonio (Caesar, 1) :

“Vincerent ac sibi haberent, dum modo scirent cum, quem incolumem tanto opere cuperent, quandoque optimatium partibus, quas secum simul defendissent, exitio futurum; nam Caesari multos Marios inesse!”

[Abbiatela pure vinta, e tenetevelo pure! Un giorno vi accorgerete che colui che volete salvo a tutti i costi sarà fatale alla fazione degli Ottimati, che pure tutti insieme abbiamo difeso. In Cesare ci sono, infatti, molti Gaio Mario!]

Il nostro Silla fu comunque il primo ad aiutare, seppur non volendo. Giulio Cesare, perché se Cesare fosse stato confermato Flamen Dialis avrebbe dovuto convivere con tutta quella lunga serie di obblighi e divieti che abbiamo esposto finora e non sarebbe potuto diventare il Caio Giulio Cesare stratega, condottiero militare, conquistatore di popoli e, di fatto, fondatore dell’impero di Roma. Potenza del caso o, forse, di Giove che favorì il suo giovane flamine.

 

Gabriele Romano

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Nil tam difficile est quin quaerendo investigari possiet.
(Nulla è tanto difficile che, a forza di cercare, non se ne possa venire a capo.)
Terenzio, Heautontimoroumenos, 675