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Giovedì, 18 Aprile 2024

 

A.D. XIV KAL. MAI.
ante diem quartum decimum Kalendas Maias

Ludi Ceriales

 

A.U.C. MMDCCLXXVII
(anno 2777 Ab Urbe Condita)

Iulia Domna

 

Ritratto di Iulia Domna, Parigi, Louvre

Iulia Domna nacque ad Emesa, nell’attuale Siria, nel 170 d.C. da Giulio Bassiano, gran sacerdote di El –Gabal, divinità solare siriaca. Ancora molto giovane, nel 185 o nel 187, sposò Lucio Settimio Severo, che all’epoca ricopriva la carica di proconsole nella Gallia Lugdunensis. Il futuro imperatore era un grande appassionato di astrologia e l’aveva scelta tra tante perché, in base al suo oroscopo, avrebbe ottenuto grandi poteri se si fosse unito ad una donna dedita ai culti del dio Sole. Dalla loro unione nacquero due figli maschi, Lucio Settimio Bassiano (dal 195 prese il nome di Marco Aurelio Antonino Caracalla) e Publio Settimio Geta. Quando nel 193 Settimio Severo venne acclamato imperatore Iulia Domna ottenne il titolo di Augusta. Fu una donna costantemente al fianco del marito, anche sul fronte, e questo le valse il titolo di mater castrorum, che fino ad allora era stato concesso soltanto a Faustina Minore. Fu sempre un punto di riferimento importante per il marito, a volte anche influenzandolo nelle sue scelte. Fu attiva nelle decisioni amministrative anche se mai ufficialmente, accontentandosi di agire a margine della scena politica nel pieno rispetto del mos maiorum romano, che non accettava di conferire incarichi e ruoli ufficiali alle donne. La sua influenza nelle decisioni di Settimio Severo non era però ben vista e questo portò allo scontro con Plauziano, consigliere dell’imperatore e prefetto del pretorio, che sembra alimentasse i pettegolezzi che volevano la giovane consorte dell’imperatore colpevole di adulterio, notizia riportata anche da Elio Sparziano (Hist. Aug. XXII) e a Cassio Dione (Hist. LXXV, 15, 6 e LXXVIII, 24, 1).

 

Moneta con il ritratto di Iulia Domna

 

Conseguenza di tale contrasto fu il ritiro temporaneo (tra il 202 ed il 205) di Iulia Domna dalla scena pubblica. Questo le permise di dedicarsi allo studio, in particolare della filosofia e della religione, e di creare un circolo di letterati attorno a lei, tra i quali spiccarono Galeno, famoso medico, il filosofo Flavio Filostrato e Diogene Laerzio.
Alla morte di  Settimio Severo (211) fu Caracalla a prendere le redini del potere, ma non aveva le stesse doti del padre. Non si interessava molto degli affari di stato e questo diede la possibilità all’Augusta di tornare ad occuparsi dei problemi legati alla gestione del potere, soprattutto cercando di mantenere la pace tra i suoi due figli senza però riuscirvi.
Caracalla la scelse come garante per un incontro durante con suo fratello il cui scopo era quello di riconciliarsi. Venne scelta l’abitazione della madre ma, durante l’incontro, i soldati di Caracalla entrarono e uccisero Geta, mentre Iulia Domna cercava di difendere il figlio, restando ferita ad una mano.
Il suo ruolo determinante nella vita pubblica è testimoniato dalla titolatura a lei riservata a partire dal 211: Iulia pia felix Augusta mater Augusti nostri et castrorum et senatus et patriae. Stando poi a quanto riporta Cassio Dione (Hist., LXXVII, 18, 2; LXXVIII, 4, 2 3) ottenne anche l’incarico ufficiale di sovrintendere alla corrispondenza imperiale mentre Caracalla era impegnato nella spedizione contro i Parthi. Nel 217, mentre si trovava ad Antiochia, apprese la notizia dell’assassinio di Caracalla e dell’elezione di Macrino al soglio imperiale. L’Augusta si lasciò allora morire di fame e, alla sua morte, venne sepolta nel Mausoleo di Augusto. Durante l’impero di Eliogabalo venne divinizzata e la sua salma venne traslata nel Mausoleo di Adriano.

 

Settimio Severo e Iulia Domna nel rilievo dell’Arco degli Argentari

 

Numerose iscrizioni, monete e basi di statue attestano che venne venerata con le sembianze di varie divinità.
Del suo aspetto sappiamo che fosse bella soltanto da un passo di Spartiano (Caracalla, X, 17).
Dalle effigi monetali e dalle statue si ricavano due tipi diversi di acconciature; quella riferibile al periodo giovanile manteneva la pettinatura di Didia Clara: capelli divisi nel mezzo e leggermente ondulati, coprenti le orecchie, e uniti sulla nuca da una treccia particolare detta alla “tartaruga”. Nel periodo in cui venne realizzato l’arco degli Argentari a Roma (203 – 204 d.C.) si delineò la seconda tipologia di ritrattistica, legata alla sua maturità.
In questi ritratti, oltre ad avere dei lineamenti idealizzati, l’acconciatura è caratterizzata da capelli ondulati in maniera artificiale, con grandi trecce ripiegate ad incorniciare il volto, divenendo più sottili verso le tempie. In tutte le tipologie viene comunque rappresentata con il volto paffuto, anche se meno nelle immagini più mature, e folte sopracciglia riunite alla radice del naso.
Entrambe le tipologie sono presenti non solo nella ritrattistica statuaria ma anche in quella monetale.

 

Tondo severiano raffigurante Iulia Domna, Settimio Severo, Caracalla e il volto abraso di Geta

 

Manuela Ferrari

 

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Fortuna caeca est.
(La fortuna è cieca.)
Cicerone, De amicitia, 98