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Lunedì, 7 Ottobre 2024

 

NON. OCT.
Nonis Octobribus

Augustalia
Iovis Fulgor
Iuno Quiris

 

A.U.C. MMDCCLXXVII
(anno 2777 Ab Urbe Condita)

Storia degli scavi di Ostia Antica

Per delineare una storia degli scavi di Ostia antica bisogna considerare brevemente l’epoca di declino della città, quando con il lento e progressivo spopolamento dell’area urbana ebbero inizio i primi riutilizzi di materiali e le prime spoliazioni di marmi e arredi degli edifici ostiensi. Dopo gli anni della repubblica e i primi secoli dell’impero, periodo di massimo splendore per le attività commerciali che caratterizzavano la città, l’inizio del declino avvenne a partire già dalla metà del III secolo d.C. con la crisi politica ed economica che colpì l’intero impero romano. Nel caso di Ostia poi un ulteriore elemento critico venne rappresentato dalla cresciuta importanza di Porto durante l’impero di Costantino che assunse il nome di Civitas Flavia Constantiniana Portuensis ed ottenne piena autonomia municipale non dipendendo più da Ostia. Da questo momento le attività portuali che erano state la vera ragione di esistenza dell’abitato ostiense cessarono quasi completamente e Ostia, che lentamente in un primo momento si trasformò in città residenziale, altrettanto lentamente cominciò a perdere abitanti. I dati archeologici mostrano come l’ultima fase di vita urbana, nel IV secolo d.C., fu caratterizzata da alcune eleganti domus, che sorsero riutilizzando decorazioni e materiali prelevati da altri edifici ormai in rovina, e da alcuni restauri agli edifici più importanti, come il Teatro e le Terme del Foro, effettuati anche in questo caso con materiali degli edifici ormai abbandonati. Significativo il fatto che nei restauri del Teatro di questo periodo siano state utilizzate le basi delle statue dei personaggi illustri che sorgevano al centro del Piazzale delle Corporazioni. Nel 359 d.C. Ammiano Marcellino testimonia un sacrificio effettuato dal prefetto urbano Tertullo in onore dei Dioscuri all’interno di un tempio ad essi dedicato al fine di calmare le acque del mare, dato che consente di valutare come ancora alcuni edifici monumentali venissero utilizzati. La popolazione rimasta nel IV secolo d.C. comunque si concentrava particolarmente nel quartiere extra-urbano al di fuori di Porta Marina, dove la presenza della via Severiana sul litorale garantiva passaggio e comunicazione con la città di Porto. Tra gli edifici ostiensi ormai abbandonati e in rovina erano numerosi horrea dislocati in varie parti dell’abitato, il Piazzale delle Corporazioni e la Caserma dei Vigili, strutture simbolo della ormai scomparsa attività portuale ed economica di Ostia. È in questo periodo e in questo scenario, verso la fine del IV secolo d.C., che S. Agostino giunge ad Ostia per imbarcarsi per l’Africa nel suo viaggio di ritorno da Milano, ed è proprio qui che sua madre S. Monica morì durante il soggiorno di nove giorni in un albergo, probabilmente di malaria che cominciava ad invadere tutta la zona (anche Agostino si ammalò ma riuscì a guarire). Tra il V e VI secolo d.C. avvenne il definitivo declino e abbandono della città testimoniato dal distico di Rutilio Namaziano che nel 414 d.C. visita questi luoghi: Laevus inaccessis fluvis vitatur arenis – Hospitis Aeneae gloria sola manet. Di Ostia rimane solo la gloria dei tempi passati. Anche l’acquedotto che riforniva la città era ormai fuori uso e pozzi vennero scavati all’interno del centro abitato per procurarsi l’acqua, come quello situato sul Decumano in prossimità delle Terme di Nettuno. Procopio nel 540 d.C. conferma il totale abbandono della città e delle sue vie di accesso descrivendo la via Ostiense come trasandata e invasa dai boschi ed il Tevere privo di barche perché di difficile navigazione. Ulteriore testimonianza dell’abbandono quasi totale dell’abitato è il fatto che durante l’invasione dei Visigoti di Alarico nel 408-410 d.C. la città venne ignorata e il saccheggio interessò soltanto la vicina città di Porto.

Veduta aerea degli scavi di Ostia eseguita dal pallone aerostatico nel 1911

 

Le poche persone rimaste all’interno del centro abitato dopo il VI secolo d.C., e soprattutto dopo la guerra di Giustiniano contro i Goti che avevano occupato tutto il litorale, cominciarono a spostarsi più verso il fiume Tevere e in particolare nella zona centrale della città, intorno all’area del castrum, dove delle povere case costituite soprattutto da materiale di riutilizzo si addossarono alle strutture, interrate per buona parte, degli edifici più antichi. Intanto un piccolo agglomerato di case era sorto intorno alla chiesa di S. Aurea, costruita nel V secolo d.C., fuori le mura della città nel luogo nel quale più tardi sorgerà il Borgo di Ostia antica. Le incursioni dei Saraceni sul litorale, che segneranno anche la fine di Porto come città nel IX secolo, fecero si che anche le poche persone rimaste al centro di Ostia preferirono spostarsi verso il Borgo che venne creato proprio in questo secolo con la costruzione di edifici e strutture fortificate da papa Gregorio IV (827-844), prendendo il nome di Gregoriopoli. Fino a questo momento Ostia aveva fornito materiali per restauri di sé stessa e per la costruzione del Borgo nato a difesa delle incursioni dei pirati. È proprio in questo periodo che hanno inizio le vere e proprie spoliazioni dei monumenti ostiensi per la costruzione di altri edifici. In particolare numerosi blocchi di marmo vennero presi e portati ad Orvieto per la costruzione del Duomo e altri furono condotti a Pisa. Dove servirono per l’edificazione e la decorazione di edifici all’interno della Piazza dei Miracoli. Il rischio delle invasioni da parte dei corsari rimase sempre vivo ad Ostia e ciò è dimostrato dalle continue opere di fortificazione costruite nel corso dei secoli fino al Cinquecento e dalle molte battagli combattute nelle acque del litorale laziale: Leone IV (849) proprio ad Ostia benedice la grande flotta che Napoli, Amalfi e Gaeta mandano in aiuto di Roma che vince i nemici venuti dalla Sardegna, episodio immortalato nelle pitture di Raffaello nelle stanze vaticane; ancora nel 856 il capo dei Musulmani Albelcaysto sbarca ad Ostia, assedia Roma ed è sconfitto da Berengario I; nel 877 Giovanni VIII partito con la flotta da Ostia disperde le navi saracene al largo di Terracina. Alle incursioni saracene si aggiunsero quelle dei Barbareschi che minacciarono Ostia dal Cinquecento fino al XIX secolo, e così quelle di altre forze militari provenienti da altre città italiane, come Pisa e Genova che la saccheggiarono, e ancora le galee di Napoli la cinsero d’assedio nel 1408 e nel 1482. A difesa ulteriore della costa si costruì prima la Torre Bovacciana sotto Martino V tra il 1451 e 1454, poi la Rocca al Borgo di Ostia nel 1485 per volere di Giuliano Della Rovere (papa Giulio II) su disegno di Baccio Pontelli, e quindi la Torre di S. Michele nel 1569 sotto Pio V. Tutti questi avvenimenti lasciano capire come nel corso dei secoli le rovine di Ostia siano state comunque oggetto di saccheggi e spoliazioni da parte di invasori e difensori proprio per la loro presenza alla foce del Tevere, punto di approdo per la risalita del fiume verso Roma. Proprio per questo continuo passaggio e per la continua frequentazione della zona il ricordo di Ostia non andò mai perduto e le spoliazioni e il riutilizzo di materiali, come già visto, iniziarono fin da subito. Indicativa la testimonianza del passaggio ad Ostia di Re Riccardo Cuor di Leone nell’agosto del 1190: “intravit Tyberim; ad cuius introitum est turris sed solitaria. Sunt et ibi ruinae maximae muro rum antiquorum… Vicesima sexta die Augusti transivit rex per quoddam nemus quater viginti miliaria”, dunque in un paesaggio caratterizzato da boschi resti di strade (la Via Severiana) e rovine di edifici da cui si ricavava materiale per le costruzioni.

La battaglia di Ostia dell'849 raffigurata da Raffaello nelle stanze Vaticane

 

Una bolla papale di Celestino III datata al 30 marzo 1191 indica nelle rovine di Ostia una località definita la Calcara: “…non longe ab eadem Hostiensi civitate… in loco, qui vocatur Calcaria”. Questo dato è stato confermato dal ritrovamento di molte calcare all’interno dell’abitato ostiense, con il relativo utilizzo delle rovine della città, già a partire da epoca altomedioevale, come vera e propria cava di marmi e di materiale da costruzione. Ci sono inoltre notizie della sicura presenza di materiali provenienti da Ostia a Salerno, Amalfi, Civitavecchia, Orvieto, Firenze, Pisa e in Sardegna. A Firenze si trovano molti materiali ostiensi, in particolar modo nel Battistero di S. Giovanni dove si trova, presso il Coro, la base dei Fabri Tignarii con dedica a Lucio Vero.  Così anche nella cattedrale di Pisa, iniziata nel 1063 e finita nel 1118 da Gelasio II, ci sono numerosi blocchi di marmo provenienti da Ostia e da Roma, particolare evidenza merita quello con la rappresentazione del Genio della Colonia Ostiense che fu inserito sul lato sud-occidentale della navata trasversale.

Statue scoperte nei pressi di una calcara ad Ostia

 

Da un punto di vista antiquario i primi ritrovamenti di iscrizioni ed opere d’arte ad Ostia, intenzionali ed occasionali, avvengono già a partire dalla prima metà del Quattrocento, quando Poggio Bracciolini accompagna sulle rovine Cosimo De’ Medici e molte statue iscrizioni ostiensi entreranno proprio nella collezione De Medici di Lorenzo il Magnifico nel 1488, tra cui una testa di bambino e gioielli d’oro. Ulteriori spoliazioni alle rovine vengono fatte da Eugenio IV (1431-1441) per restaurare i danni fatti agli edifici del Borgo dal re Ladislao di Napoli che assediò e depredò Ostia all’inizio del secolo. Ma in questo periodo molti materiali ostiensi furono utilizzati anche per eventi bellici, come testimonia un documento del 15 luglio 1484 che ci informa di come un tale Domenico scalpellino e i suoi compagni ricevettero la somma considerevole di 205 fiorini per la produzione di palle e bombarde effettuate con marmi e pietre di scavo. Ulteriore informazione sullo stato degradato, ad opera dei saccheggi avvenuti, delle rovine di Ostia viene dai Commentarii di Pio II (1458-1464): “Fuisse olim magnam (Ostiam) ruine probant, quae multum agri occupant… Visuntur dirutae porticus et colomnae iacentes et statuarum fragmenta: extant et veteris templi parietes marmore spoliati, qui nobile quondam fuisse opus ostendunt. Cernitur et pars aquaeductus…”.

Con il Rinascimento iniziò la ricerca di tesori dell’arte antica e la raccolta di iscrizioni e Roma ovviamente aveva una via di accesso privilegiata al materiale ostiense anche grazie al Tevere come via di comunicazione. Sotto Clemente VIII nel 1598 si sancisce il diritto di cavare marmi dalle rovine di Ostia per utilizzarli nella Fabbrica di S. Pietro ed in generale per i lavori edilizi nella città. Un grande blocco di marmo africano proveniente dagli edifici ostiensi viene utilizzato come base per la statua di S. Pietro sulla sommità della Colonna Traiana, mentre altri marmi furono riutilizzati nella Basilica di S. Giovanni in Laterano.

Dopo un periodo più o meno lungo di disinteresse per le rovine di Ostia, un nuovo ciclo inizia nel Settecento con diversi scavi condotti all’interno dell’area urbana. Nel 1783 abbiamo notizie di scavi effettuati dal De Norogna, Ministro del Portogallo presso la Santa Sede che portarono alla scoperta di parecchi busti, statuette, colonne, un mosaico pavimentale con rappresentazione di Marte e Rea Silvia prima entrato nella collezione della famiglia Altieri e successivamente portato a Lisbona, così come un altro con rappresentazione della testa di Medusa, e circa 30 grandi dolia che furono acquistati dal principe Chigi che li usò per ornare il piazzale di Castel Fusano e Villa Borghese a Roma; nello stesso anno eseguì ricerche di antichità anche l’incisore Volpato ed anche il pittore La Piccola con ritrovamenti di alcune statuette di bronzo e numerose monete; nel 1788 scavi condotti dal pittore scozzese Gavin Hamilton nella zona delle Terme di Porta Marina portarono sul mercato antiquario europeo numerose opere d’arte provenienti da Ostia che finirono nelle collezioni inglese francesi e russe. In particolare venne trovata una statua di Venere seminuda, una statua colossale di Antinoo e, fatto indicativo per la storia medioevale di Ostia, una calcara con all’interno quattro gruppi scultorei antichi di Ercole, poi portati nella Sala degli Animali dei Musei Vaticani; ancora nel 1796 ulteriori scavi vennero condotti dall’inglese Robert Fagan con numerosi ritrovamenti di statue, alcune delle quali presero la via per l’Inghilterra, busti ed erme.

A partire dai primi anni dell’Ottocento Pio VII vietò questi scavi “che si facevano tumultuariamente qua e la da gente, la quale per lo più altro non aveva in cuore che di rinvenire cose di valore per farne commercio, senza verun utile per l’antichità, per l’erudizione e per la storia”. Quindi stabilì scavi pubblici per la conoscenza della città, ma mosso anche da ragioni economico-politiche e in primo luogo per incrementare le raccolte dei musei papali. Affidò quindi gli scavi condotti dal 1802 al 1804 a Giuseppe Petrini, sotto il controllo del Direttore Generale per l’Antichità Carlo Fea, scavi che in definitiva furono ricchi di ritrovamenti ma poveri di dati storici. Si liberò in particolare l’area intorno al Tempio di Vulcano (Capitolium). Tra il 1824 e il 1825 scavi furono eseguiti dal signor Cartoni nella zona del sepolcreto sulla via Ostiense e altre indagini fatte da Pietro Campana su incarico del cardinale Bartolomeo Pacca, Vescovo di Ostia, che portarono alla scoperta di molte iscrizioni e statue in un primo momento sistemate nell’episcopio ostiense, ma in seguito portate nella villa romana del cardinale a Porta Cavalleggeri. Ancora tra il 1831 e il 1836 si scavò in più punti, presso Tor Boacciana e presso il c.d. Palazzo Imperiale.

Pianta del 1804 eseguita da Pietro Holl degli scavi condotti sotto Pio VII

 

Ma il vero inizio delle ricerche archeologiche ad Ostia può indicarsi nelle indagini volute a partire dal 1855 da Pio IX e affidate alla direzione di Pietro Ercole Visconti. A questi scavi condotti con la manodopera di condannati ai lavori forzati, parteciparono anche Pietro Rosa e Rodolfo Lanciani. Scrive il Visconti all’inizio dei lavori: “la Santità di nostro Signore in mezzo alle tante e si gravi cure della Chiesa e dello Stato, avendo l’animo inteso a promuovere i vantaggi delle antichità e delle arti, dopo aver dato tanti luminosi esempi del suo sovrano favore verso di esse, ha di recente ordinato che siano riaperti e continuati gli scavi di Ostia, stati già fruttuosi e si celebri nel Pontificato del suo predecessore Pio VII”. L’interesse di Pio IX per le rovine ostiensi venne testimoniato con le sue sei visite agli scavi nel periodo dal 1855 al 1866, e con la disposizione che le rovine venissero lasciate visibili e i marmi, per quanto possibile, lasciati sul luogo, mentre gli oggetti d’arte raccolti fossero conservati in due sale appositamente create nel Museo Lateranense. Con il progredire dei lavori e il susseguirsi delle scoperte si decise di stabilire la presenza di un Museo degli Scavi posto all’interno di Ostia, e per questa funzione venne scelto l’antico Casone del Sale, che venne restaurato e sistemato per accogliere i reperti più significativi, ma che, come vedremo in seguito, entrò in funzione solamente un secolo più tardi. Dopo la fine dei lavori vennero pubblicati alcuni rapporti di scavo nel 1857, e in questi risalta come il Visconti pur obbedendo all’ordine papale di ritrovare opere d’arte, si preoccupò anche della topografia della città. In questi scavi si trovò la via dei Sepolcri e si identificò con la via Ostiense, poi si scavò la Porta Romana e i quartieri adiacenti. Si passò poi alla zona del Campus della Magna Mater e ad altri edifici da cui recuperò numerose opere d’arte che andarono ad impreziosire il Laterano, come una statua di Venere in bronzo e una raffigurante Attis giacente. Furono esplorate inoltre le tombe sulla via Laurentina nel quale trovò pitture che furono staccate e portate a Roma. Verso Tor Bovacciana scava le terme marittime e inoltre riporta alla luce il c.d. Palazzo Imperiale, dal quale stacca un grande e magnifico mosaico policromo che viene portato in Vaticano e inserito nella decorazione della Sala dell’Immacolata Concezione, ed un altro con la rappresentazione delle stagioni è inserito nel pavimento della chiesa di S. Paolo alle Tre Fontane. Ancora proseguì le sue indagini nella zona del Capitolium, scavo che venne proseguito in seguito dal nuovo Governo Italiano con la direzione di Pietro Rosa (dal 1871 al 1872) che liberò una vasta area adiacente e scoprì abitazioni con eleganti pitture. I lavori furono poi affidati a Rodolfo Lanciani che proseguì gli scavi del Visconti, dirigendoli dal 1878 al 1888, scavando il Teatro, che venne liberato completamente, e scoprendo inoltre il mitreo nelle immediate vicinanze (Mitreo delle Sette Sfere), trovò inoltre il Mitreo di Felicissimo e quindi proseguì i lavori al Piazzale delle Corporazioni, scavò la Caserma dei Vigili e le Terme di Nettuno. Dopo la fine degli scavi del Lanciani poco venne fatto e si registra soltanto uno scavo in via della Fontana ad opera di Gatti e Borsari dal 1897 al 1899, contemporaneamente all’inizio delle bonifiche di tutta la zona condotte dai coloni di Ravenna. In questo periodo i reperti e gli oggetti d’arte trovati sugli scavi vennero conservati all’interno del castello di Giulio II in alcune sale con funzione di Antiquarium, ma abbiamo notizia che molte iscrizioni e statue andarono ad incrementare la collezione conservata all’interno del Museo Nazionale Romano.

Visita di Pio IX agli scavi di Ostia

 

Con l’inizio del Novecento si studiò una nuova strategia di scavo per portare alla luce tutta l’area della città. A dirigere questi nuovi e innovativi lavori fu chiamato Dante Vaglieri che seguì l’andamento degli scavi dal 1909 fino al 1913 anno della sua morte. Indicativo il suo programma dei lavori articolato in tre semplici punti: completare lo scavo degli edifici precedentemente non messi del tutto in luce, curando insieme la conservazione delle rovine già scavate; congiungere i singoli gruppi di rovine; fare degli scavi in profondità e chiarire lo svolgimento della storia di Ostia. Seguendo questi propositi si riuscì a liberare i quartieri a nord del Decumano fino alla Caserma dei Vigili, con il ritrovamento importante dei Quattro Tempietti Repubblicani. A seguito di queste indagini seguì la prima monografia dedicata ad Ostia ad opera di Ludovico Paschetto. I lavori furono in seguito affidati alla direzione di Roberto Paribeni (dal 1914 al 1922), quindi dal 1924 a Guido Calza che li guidò per più di venti anni. Tutti questi scavi, che proseguirono abbastanza lentamente, portarono nell’anno 1938 alla scoperta di un terzo dell’abitato ostiense. Nei quattro anni successivi (1938-1942) la velocità delle indagini venne incrementata notevolmente, tanto che in occasione dell’Esposizione Universale Romana del 1942 l’area liberata fu raddoppiata, con un’estensione di 34 ettari e la scoperta di due terzi della città. Venne effettuata l’importante scoperta del Castrum di IV secolo a.C., scavato e studiato, e venne trovata la cinta muraria di epoca sillana, quindi venne liberato il Foro, con la Curia, la Basilica e i portici circostanti. Così Guido Calza sulla scia già indicata dal Vaglieri, indicava i risultati raggiunti: “Lo scavo ha portato: al congiungimento di tutte le rovine parzialmente scoperte, eccetto il cosi detto Palazzo Imperiale; l’intero scoprimento delle due massime arterie della città, il Decumano Massimo da Porta Romana a Porta Marina, e il Cardine Massimo da Porta Laurentina al Tevere, con le costruzioni adiacenti; l’esplorazione di Ostia non solo sul lato settentrionale dal Decumano al Tevere, come era stata praticata finora, ma anche sul lato meridionale verso le mura, in una zona cioè interamente ignota, raggiungendo di conseguenza i limiti della città sia dalla parte del mare (ovest) sia dalla parte di Laurentum (sud) in modo da conseguirne la più completa conoscenza topografica; la continuazione, dove è stato possibile della esplorazione del sottosuolo per la conoscenza della città repubblicana”.  Bisogna dire che in questo quadriennio per la fretta di portare alla luce più strutture possibili, per esigenze della propaganda fascista, venne in pratica operato un grande sterro nel quale venne raggiunto freneticamente il livello di II secolo d.C., di età adrianea, senza una adeguata documentazione degli strati più tardi che vennero eliminati senza nessuno scrupolo. In questo modo molti dati relativi alla Ostia tardo antica vennero totalmente persi e inoltre molti restauri e ricostruzioni vennero effettuati in modo sommario e spesso falsante.

Il Teatro di Ostia prima dei lavori di restauro

 

Prima di proseguire con la storia degli scavi è necessario fermarsi un attimo per descrivere la storia del Museo degli Scavi. Merito di Pio IX e di Visconti fu inoltre l’ideazione nel 1865-1866 di un museo posto direttamente all’interno degli scavi. Venne scelto allo scopo il Casone del Sale (odierno Museo degli Scavi) costruito nel 1571 con materiali antichi, che venne restaurato ed adattato allo scopo dall’architetto Romiti, con la costruzione della odierna facciata neoclassica. L’iscrizione al disopra dell’ingresso ricorda proprio questa nuova sistemazione. Ma il sopraggiunto Governo Italiano preferì trasferire l’esposizione all’interno del castello di Giulio II, finché nel 1933 l’idea venne ripresa da Calza e Gismondi con una ulteriore sistemazione del Casone del Sale, fino ad allora usato come Direzione del Cantiere degli Scavi, con la costruzione di tre eleganti sale per l’esposizione delle opere ritrovate negli anni 1938-1940. La seconda guerra mondiale impedì la realizzazione dell’opera che venne finalmente portata a termine nel dopoguerra con l’aggiunta di altre sale espositive e la creazione di un altro edificio legato all’originario Casone del Sale, che oltre alle opere d’arte antica ospita oggi anche gli uffici della Soprintendenza Archeologica.

Disegno dell'Ottocento del Museo degli Scavi, realizzato nell'antico Casone del Sale, con la nuova facciata eseguita sotto il pontificato di Pio IX

 

Nel secondo dopoguerra gli scavi subirono un momento di stasi, mentre continuò la grande quantità di restauri delle strutture riportate alla luce negli anni precedenti. Soltanto a partire dagli anni Sessanta del Novecento si assiste ad una ripresa degli scavi, questa volta limitati a singoli edifici e in molti casi specificatamente dedicati al ritrovamento degli strati relativi al periodo repubblicano della città, come nello scavo del Caseggiato dei Dipinti. Si chiarì sempre in questi anni la complessa ristrutturazione edilizia di età adrianea nel quartiere a nord del Decumano, e si scoprì inoltre la Sinagoga (1961). Molti saggi vennero così condotti nella zona delle Terme del Nuotatore, nel Piazzale delle Corporazioni, nell’Insula dell’Invidioso e in quella delle Pareti Gialle. Queste indagini proseguirono per gli anni Settenta e Ottanta fino ad avere un nuovo impulso dagli anni Novanta con l’entrata in scena di ricercatori di Università ed Istituti stranieri, portando a scoperte importanti come la Basilica cristiana di età costantiniana (scavi dell’Istituto Archeologico Germanico del 1996-1999), i Navalia e il Tempio dei Dioscuri (saggi di scavo del 2000-2001), e alla ripresa di scavi come quello nella Schola del Traiano a partire dal 1997. Si eseguirono inoltre nuovi scavi in strutture ed edifici già scavati, come la Casa di Diana (scavi 1994-1997), con nuovi dati acquisiti e con nuove ricostruzioni ed interpretazioni sullo sviluppo degli edifici e dello stesso tessuto urbano della città, fino alla ripresa dello scavo della cisterna terminale dell’acquedotto ostiense nel settore a sud di Porta Romana iniziato negli anni Ottanta del XX secolo e ripreso dal 2003 da una equipe francese.  Inoltre il nuovo interesse delle rovine ostiensi portò al fiorire dei dibattiti sulle prime fasi di vita di Ostia e sul periodo repubblicano, fino ad arrivare in tempi recenti a completi studi sulla vita economica della città e sui traffici commerciali che caratterizzarono intensamente la vita quotidiana di Ostia, l’antico porto di Roma.

Gabriele Romano

Scavo delle Terme dei Sette Sapienti degli anni 1938-1942

 

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Fama, malum qua non aliud velocius ullum. 
(La fama, male di cui nessuno altro è più veloce.)
Virgilio, Eneide IV, 174